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Piero Angela, un ricordo

Era la seconda metà degli anni Ottanta e il mio liceo inaugurò l’aula magna invitando Piero Angela. Quasi tutti si aspettavano che parlasse di scienza. Invece sorprese l’uditorio soffermandosi sull’economia (era il periodo di “Quark economia”). Non mi stupii. Avevo appreso dai suoi libri che della scienza amava soprattutto il metodo, l’approccio, basato sui fatti. Ma, poi, era solito spaziare: dalle “tecnologie del comportamento”, quelle del grande psicologo dei “premi” e delle “punizioni”, Skinner, alla “società aperta”, dalle galassie al risparmio energetico, “nel buio degli anni luce”, dal ricordo appassionato di Ferruccio Parri, soprannominato “giaccacorta” da chi “era abituato a ben altre giacche”, al divario fra i mezzi in nostro possesso e la capacità di usarli. 

In uno dei suoi primi saggi di divulgazione scientifica – “L’uomo e la marionetta” – sottolineava come, più che occuparsi ad esempio del Dna, intendesse illustrare “la filosofia del Dna”. Già; provava sempre a superare gli steccati tra le “due culture”, quella scientifica e quella umanistica. Ed è stato, non a caso, un grande umanista, e uno scrittore di valore: con il libro “Alfa e Beta”, tra l’altro, ha riproposto in tutta la sua forza ed efficacia il genere letterario dialogico.

Egli, poi, amava accomunare la scienza alla filosofia e alla “speculazione” matematica, e la tecnologia alla politica e all’economia. Oggi non pochi parlano invece di tecnoscienza, ritenendo che non si possa discernere fino in fondo tra scienza e tecnologia. Uno dei dilemmi che il nostro Piero Angela ci lascia in eredità. 

 

Foto di Marco Poggiaroni