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C’è un mondo intorno alle Bibbie

 

L’odore dei libri antichi, con le loro annotazioni a mano e le tracce di un lungo uso, ci accompagna in questo viaggio nel tempo: è vero, «non hai l’impressione di entrare in un mondo asfittico», come ci dice Marco Fratini, bibliotecario della Fondazione Centro culturale valdese di Torre Pellice, guidandoci nella mostra allestita nel Museo valdese, di cui è uno dei curatori insieme a Lorenzo Di Lenardo e Stefania Villani. Piuttosto, sembra di sentire l’eco delle dispute tra teologi, il crepitio dei roghi dell’intolleranza, lo scalpiccio di piedi che trasportano, nascosti, volumi preziosi.

La mostra allestita dal Centro culturale valdese espone una selezione dalla sua biblioteca, e giunge a conclusione di un progetto ambizioso, durato tre anni, che coincide con i cento anni della Facoltà valdese di Teologia a Roma, anch’essa parte del progetto. Le collezioni di Bibbie delle due biblioteche si completano, come si vede anche dal catalogo, che offre una selezione di 112 Bibbie, frutto del lavoro di catalogazione da cui è partito tutto. Infatti il primo obiettivo non era la mostra, spiega Fratini, ma «catalogare il patrimonio per capire quanto di specifico e originale abbiamo rispetto alle altre biblioteche italiane. Ci interessava poi cogliere l’aspetto dell’utilizzo: le nostre non sono Bibbie da collezione, ma in buona parte libri di famiglia, uno specchio del “patrimonio librario” delle famiglie valdesi».

C’è quindi un legame forte tra biblioteca e mostra, che non è un’esposizione di Bibbie più o meno antiche e preziose, ma uno spaccato della storia della formazione della biblioteca, delle edizioni bibliche, della comunità valdese: tre universi che in qualche modo si integrano, andando molto oltre i confini locali. Fratini sottolinea infatti la portata nazionale dell’iniziativa, peraltro sancita anche dalla medaglia attribuita dal presidente della Repubblica come “premio di rappresentanza” per il valore della mostra.

La mostra, composta da un centinaio di Bibbie, alcune in più volumi, guida il visitatore nell’evoluzione della stampa (la più antica esposta è del 1478), delle traduzioni, della diffusione, perché (ricorda Fratini) «non è vero che il testo è sempre lo stesso… Per i protestanti questo è più intuitivo, ma non scontato, quindi chiariamo subito al visitatore che la Bibbia non è un testo unico, immutabile, ma un cantiere sempre aperto».

Abbiamo “un assaggio” dell’evoluzione tipografica, dagli esemplari che somigliano ancora a manoscritti, con lo spazio per le note, a quelle con le note di possesso, da cui si vede anche che la bibbia non è un oggetto intoccabile, anzi: sono presenti cancellature, annotazioni, dediche, ogni esemplare è quindi unico…

La sezione filologica affronta il dibattito sulle traduzioni e sulla ricerca del testo originario nel Cinque-Seicento, ricordando un’altra cosa non scontata: «Il riferimento è sempre alla Vulgata, anche per Lutero o Olivetano: bisogna un po’ ridimensionare il mito della traduzione nelle lingue del popolo: si parte sempre da un confronto, anche critico, con quella che per mille anni era stata l’autorità». Il tema della diffusione della Bibbia nelle lingue volgari è centrale in questa sezione, dove sicuramente uno dei pezzi forti è la “bibbia dei valdesi” per eccellenza, quella tradotta in francese da Olivetano…

Qui incontriamo un dettaglio del titolo, apparentemente minimo ma determinante: perché dire “Bibbie dei valdesi” e non “Bibbie valdesi”? «A parte quella di Olivetano, e alcune più recenti, non avremmo molto da esporre; dobbiamo quindi intendere le bibbie appartenute a valdesi, o a protestanti in generale, e confluite nel patrimonio della biblioteca valdese». Appartenenza (e lettura) che, ricorda ancora Fratini, ha una connotazione attiva: significa studi e contatti con i paesi esteri, da un lato, ma anche confronto con la realtà cattolica, non solo in ottica polemica. Due casi esemplificativi: la presenza nella mostra di bibbie francesi gianseniste (corrente religiosa sviluppatasi nel Seicento all’interno del cattolicesimo) e della traduzione italiana di mons. Antonio Martini (1720-1809, arcivescovo di Firenze, la sua traduzione fu la più diffusa fino al XX secolo nella Chiesa cattolica, nonché la prima in italiano dai tempi del Concilio di Trento), stampata anche dalla Claudiana «e utilizzata in alcune scuole, come mostra uno degli esemplari esposti, di inizio Ottocento, proveniente da Massello. Non era vista come “la bibbia del nemico”, e questo ci fa capire che i confini non erano così netti, contrariamente a quanto si crede, e ci dà l’idea di un panorama più mosso. Con la stessa ottica dovremmo avvicinarci a questi libri, senza preconcetti: stiamo parlando di un fenomeno culturale, che ha coinvolto generazioni di persone in tutto il mondo… Ognuno di questi libri ha un mondo intorno, che abbiamo cercato di rievocare».

La Bibbia che la mostra vuole raccontare è innanzitutto quella della vita quotidiana: ricevuta in dono in occasione di confermazioni o matrimoni, la “Bibbia di famiglia” tramandata di generazione in generazione, con la registrazione di nascite, matrimoni e mortiO ancora, la bibbia salvata da un incendio, o appartenuta alla moglie scomparsa, o quella che accompagna nella prigionia, o ancora la bibbia che da un missionario all’altro viaggia dalla Polinesia, al Lesotho fino a Torre Pellice.

Sezione imprescindibile è quella su Tito Chiesi, che collega le due biblioteche di Roma e Torre Pellice: appassionato collezionista (non solo di bibbie!) ci mostra ancora una volta che non stiamo parlando solo di libri, ma di persone, passioni ed emozioni.

Ognuno di questi libri, conclude Fratini, acquista valore nel contesto della collezione. Quindi il consiglio è di passare alla biblioteca del Centro, se si trova in casa un vecchio volume che non si sa bene come collocare: il suo pieno significato potrebbe essere una bella scoperta.