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Come viviamo il nostro ministero?

 

Au carrefour des imaginaires: questo il titolo del primo incontro organizzato a Strasburgo dal 20 al 22 giugno rivolto a pastori e pastore, diaconi e diacone all’inizio del loro ministero nell’area francofona europea. Presenti circa trenta partecipanti, provenienti da chiese differenti: Chiesa protestante unita di Francia (EPUdF), Unione delle chiese protestanti di Alsazia e Lorena (UEPAL), Chiesa protestante unita del Belgio (EPUB), le varie Chiese cantonali francofone della Svizzera (CERC) e la Chiesa valdese – Unione delle chiese metodiste e valdesi d’Italia. Un tempo breve ma benedetto per scoprirsi accomunati e accomunate non solo dal ministero, ma anche dal momento di difficoltà che attraversa in maniera più o meno tangibile tutte le realtà ecclesiali.

L’obiettivo dell’incontro, proposto in sinergia dai e dalle rappresentanti dei vari dipartimenti legati alla formazione nell’ambito dei ministeri, non era quello di trovare strategie pratiche da mettere in campo nell’immediato, ma più che altro di riflettere su di noi, sul nostro vivere il ministero e il suo rapporto con le aspettative, le frustrazioni e le possibilità future. Proprio in quest’ottica, la prima delle attività proposte è stato il gioco del passaggio di un gomitolo, con l’obiettivo di creare una rete che fosse anche visibile e non solo fatta di parole. Questa è l’immagine che mi porto a casa, nel pensare il mio servizio per le chiese: una rete che si è dissolta ma che rimane viva nelle parole e nelle riflessioni condivise, nei volti e nelle relazioni che si sono create o rinforzate ma soprattutto nella possibilità di ragionare e di pensare la chiesa anche oltre i propri confini, sapendo di non essere soli e sole. Grazie alla presenza di Marie-Hélène Cahuzac, esperta nella conduzione dei gruppi, si è intrapreso un lavoro che permettesse proprio di intessere tra loro differenti piani come quello singolo-gruppo, ministero-chiesa locale, attese-progetti. Un tempo e uno spazio, quindi, di reale condivisione (gratuita è stata definita) dove non era richiesto altro che essere sé stessi e sé stesse con la propria vita e il proprio servizio, sapendo di contribuire già così alla riflessione e alla costruzione di quella rete che sostiene e accompagna, che collega e che nutre.

Si è trattato di un “incontro pilota”, per vedere se fosse un qualcosa di necessario per la vita di chi ha da poco (entro tre anni) iniziato il cammino del ministero. Credo che, proprio nel suo voler essere un’occasione rara di incontro e condivisione, esso abbia saputo cogliere una necessità da parte della maggioranza di noi: incrociare cammini e sguardi anche sul proprio modo di vivere la chiesa, riflettendo sul tema del servizio e di come questo sia diversamente percepito. Poter anche pensare nel concreto a progetti attuabili in una chiesa su sperimentazione di un’altra e anche valorizzare le differenti situazioni ecclesiastiche legate a tradizioni storiche e politiche proprie di ogni paese.

Nel corso di un lavoro di gruppo è emerso il riferimento al racconto della vocazione di Gedeone, quando il Signore risponde alla replica di Gedeone con queste parole: «va, con questa tua forza» (Giudici 6, 14a). In un momento di forte stanchezza condivisa, di frustrazione e di crisi vocazionali in maniera diversa nelle nostre chiese, il richiamo che Gedeone riceve da parte di Dio pone l’attenzione su due aspetti: la forza che egli possiede è sufficiente per rispondere alla chiamata che rivolge Dio. Secondariamente, il Signore è colui che dona la forza nel momento dello smarrimento e della fatica e assicura la sua presenza. In questo momento storico, dopo due anni di pandemia che ha fragilizzato realtà già precarie, le chiese e chi le serve a 360 gradi non sono immuni dalle difficoltà, poiché tra le persone presenti, la grande maggioranza ha, di fatto, iniziato il suo percorso nel ministero appena prima dell’inizio della pandemia. Ma è in questo tempo che siamo chiamati e chiamate a operare, ascoltando e riconoscendo le nostre forze senza illuderci di averne altre, confidando nell’accompagnamento da parte del Signore e riconoscendo che la chiesa è un suo progetto, nel quale noi agiamo ora, ma che non siamo noi a definirne il tempo.

Con l’immagine regalatici da una delle partecipanti, non siamo noi “i pastori” del gregge, ma forse piuttosto i “cani pastore”, a cui è affidato un compito, ma che sanno di doversi sempre rimettere all’insegnamento e al progetto di qualcuno al di là di noi. Così, questa rete di tre giorni, accompagnata anche da momenti informali, approfittando della presenza della festa della musica in città, ha permesso di riascoltare il ritmo del proprio cammino vocazionale, riscoprirlo e rileggerlo, per poi proseguire con un ritmo diverso che parta dall’ascoltarsi con attenzione, ma anche porgere l’orecchio a chi con me prosegue su quella strada, seppur a tanti chilometri di distanza. Un incrocio, quello di Strasburgo, non solo di immaginari diversi, ma di vite e di visioni, che permettono ora di riprendere la strada verso casa con in testa e in tasca cose vecchie, ma soprattutto, cose, relazioni e pensieri nuovi.

Da chiesavaldese.org