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Povertà: siamo in affanno

 

Nel 2005 si trovava in condizione di povertà assoluta, cioè nell’impossibilità di acquistare beni per condurre uno standard di vita minimamente accettabile, il 3,3% della popolazione italiana. 16 anni dopo, nel 2021, la percentuale si è impennata al 9,4, per un totale di 5,6 milioni di persone di cui 1,4 milioni minorenni. Per ciò che riguarda la povertà relativa, una situazione di mancanza di risorse necessarie per mantenere lo standard di vita corrente (medio) della società in cui si vive,l’incidenza sale all’14,18% (8,8 milioni di individui). Il 25% della popolazione italiana, 1 persona su 4, vive dunque in condizioni di povertà significative o estreme.

L’Istat fotografa un Paese in grosso affanno, tendenza accentuata da due anni dallo scoppio della pandemia ancora in corso, che ha portato al blocco di molte attività lavorative e all’impossibilità di accedere ai vari contributi statali per coloro che non godevano di un regolare contratto di impiego. 

Si moltiplicano le code alle mense e ai banchi alimentari, soprattutto nelle grandi città. «Ed è proprio nei grandi contesti urbani che la Diaconia valdese dal 2017 ha scelto di intervenire – ci racconta Simone Alterisio, coordinatore dei Community Center, gli sportelli informativi e di orientamento che la Diaconia gestisce in numerose città, da Catania a Milano, da Roma a Torino, e poi Napoli, Perugia, Bologna, Firenze e presto Genova e Pinerolo (To) –; perché nelle città si concentra un elevato numero di criticità, ed è da questi contesti che giunge una richiesta da parte delle chiese, che sono a volte loro per prime a intercettare bisogni e esigenze e che quindi coinvolgono la Diaconia per provare a intervenire». Una formula, quella dello sportello, che funziona e che riesce a venire incontro proprio alle fasce più deboli. L’aumento dell’utenza lo certifica: oltre 500 accessi mensili con richieste assai diversificate: «Da un lato permane l’orientamento legale di quegli stranieri cui risulta sempre più difficile accedere ad alcuni servizi – prosegue Alterisio –; con la pandemia sono però aumentate le problematiche legate al lavoro e alla fruizione dei vari bonus compensativi emersi in questi anni. Quindi il nostro è un ruolo di facilitatori, anche nel dialogo con le aziende che sono alla ricerca di manodopera. Tutto ciò in rete con gli altri operatori sociali, pubblici e privati che si occupano di simili questioni». Il famoso “fare rete” che mai come in questo caso può aiutare a individuare in tempo situazioni pericolose.

Il problema è drammaticamente generalizzato, come conferma il pastore Daniele Podestà della Chiesa battista di Pordenone, con una tradizione consolidata di sostegno concreto a chi è più in difficoltà: «Certamente il dato più evidente è relativo all’aumento delle famiglie italiane di origine che accedono ai servizi sociali, con cui lavoriamo in sinergia per segnalare i casi più complicati. Molti lavoratori precari, stagionali, hanno perso il lavoro durante i lockdown, molti avevano contratti in nero per cui non hanno modo di accedere a una serie di sussidi. La chiesa diventa allora anche sentinella e centro di ascolto, e non soltanto un pur importante distributore di alimenti per chi ne ha necessità». Il cibo proviene dal Banco Alimentare o proviene da interventi specifici dell’Ucebi, l’Unione cristiana evangelica battista, che già nel 2020 in pieno lockdown aveva stabilito di destinare il 25% dei fondi del proprio Otto per mille all’emergenza sanitaria e assistenziale. Accanto al sostentamento pratico c’è l’altrettanto pressante problema degli affitti e delle utenze da pagare: «In questo caso interveniamo cercando di sanare i debiti, anche grazie alle donazioni di chiese battiste sorelle (a esempio quella di Aviano), e ponendoci come sorta di mediatori fra locatari e proprietari degli immobili». La costruzione di queste relazioni porta a storie che sono vere e proprie note di speranza, chiosa Podestà: «Nell’ultimo Natale due famiglie di “padroni di casa” anziché scambiarsi i doni all’interno dei loro nuclei hanno scelto di fare una grossa spesa e poi regalarla a noi: un dono bello e inaspettato, segnale di buone relazioni costruite nel tempo».

Il rammarico qui come altrove è legato all’impossibilità di aiutare tutti coloro che richiedono aiuto: le risorse limitate obbligano a scelte prioritarie ma sempre dolorose.

Dalle grandi città a quelle di provincia, fino ai piccoli paesi: cambiano i numeri ma non le problematiche. La val Pellice, che corrisponde al Primo Circuito della Chiesa valdese, nell’area sud della provincia di Torino, conta circa 20.000 abitanti. Proprio il Circuito coordina e gestisce due importanti iniziative rivolte a chi ha difficoltà economiche, nell’ambito delle “nuove povertà”. «Il Circuito – ci racconta la sua sovrintendente Debora Michelin Salomon – da ormai più di 10 anni si occupa di pacchi alimentari e attraverso la responsabile di questo progetto, Carla Beux, partecipa anche a una sorta di tavolo fra le varie associazioni ed enti che si occupano di povertà, per avere un minimo di “controllo” (non viene per scelta chiesto Isee o altro documento) e coordinamento sugli interventi». Accanto a ciò è stato istituito il sostegno al trasporto: «Grazie ai fondi Otto per mille abbiamo la possibilità di aiutare negli spostamenti una ventina di ragazzi e ragazze – aggiunge Michelin Salomon – pagando loro abbonamenti e biglietti dei mezzi pubblici. La particolarità di questo servizio è che nessun valdese lo utilizza, forse perché è ancora poco conosciuto e c’è una sorta di difficoltà a chiedere aiuto». 

Un ruolo sociale delle chiese e dei loro organismi che si consolida, ma spetto certo alla politica la capacità di fornire risposte di lungo periodo a una società che sta pericolosamente scivolando verso una indigenza diffusa.

 

Foto: volontari della Chiesa battista di Pordenone