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La Fede alle prese con il silenzio di Dio

La benemerita (è proprio il caso di dirlo) casa editrice Qiqajon, della Comunità di Bose, ha pubblicato questa primavera in versione italiana un libro scritto nel 2018 da Gérard Delteil, pastore della Chiesa protestante unita di Francia e decano onorario della Facoltà teologica protestante di Montpellier, dove per molti anni ha insegnato la Teologia pratica, che è il coronamento di tutta la teologia. Il titolo è: Al di là del silenzio. Sottotitolo: Quando Dio tace*. È un libro che non deluderà né i credenti, né i non credenti: non i credenti, perché il silenzio di Dio, reale o presunto, occupa un posto rilevante nella loro esperienza di vita cristiana, specialmente in certe situazioni critiche sia individuali sia collettive, nonché nel quotidiano «buon combattimento della fede» (come lo chiama l’apostolo Paolo: I Timoteo 6, 12). Ma non deluderà neppure coloro che si considerano non credenti, o lo sono realmente, perché spesso il loro rifiuto della fede e l’allontanamento da Dio nascono proprio dal suo silenzio, interpretato che segno palese della sua inesistenza: leggendo questo libro si renderanno conto che il silenzio di Dio può essere interpretato in ben altri modi e può servire, paradossalmente, proprio a segnalare la sua sempre misteriosa e imprevedibile presenza.

Ma lasciamoci guidare dall’autore, il quale, dopo una breve Premessa in cui, più che altro, pullulano gli interrogativi (tanti davvero!), scrive un Preludiotra violenza e silenzio, che può essere riassunto in quest’affermazione: «La tentazione della violenza è consustanziale alla religione» (p. 26). Come spiegare questo inquietante connubio? L’A. indica tre possibili ragioni: il rapporto esclusivo con l’Assoluto, la lotta intransigente contro il Male, un fatale atteggiamento di chiusura nella convinzione di possedere la verità. Elenca poi una serie di “risorse” di cui, volendo, la religione dispone per disinnescare in tempo la spirale della violenza: pagine molto ricche spiritualmente e culturalmente, che si concludono così: «Il silenzio [di Dio, che ci disarma] è l’antidoto all’intolleranza e alla violenza» insita nella religione (p. 38). Segue l’importante capitolo sull’«Enigma del silenzio». Stupisce dover constatare con l’A. quanto spesso nella Bibbia, che è stata creata dalla Parola e di essa si nutre e vive, si parla del silenzio di Dio, che quindi, nella dialettica con la parola, appare come «la sua eco, la sua vibrazione» (p. 42). Lo conferma Elie Wiesel: il silenzio «non è l’opposto della parola, ma la profondità della parola». Anche queste sono pagine bellissime, che si concludono con Giacobbe e la sua lotta vittoriosa con Dio, che però lo ferisce a vita. Sulla stessa lunghezza d’onda c’è il tema di Dio che «nasconde il suo volto», cioè si nega all’uomo che lo cerca, con Giobbe prim’attore: il suo lamento iniziale diventa prima protesta, poi accusa, e infine supplica: «Giobbe si appella a Dio contro Dio» (p. 71), che alla fine, dopo un insopportabile silenzio, risponde, ma non alle domande di Giobbe. Così, la sua sofferenza e quella, moltiplicata, dell’umanità restano inspiegate. Tante ragioni possono essere individuate, ma nessuna risolve. La domanda resta inevasa, ma forse Dio è più nella domanda che nella risposta (che non c’è).

Fa da felice contrappunto a questo capitolo, quello successivo dedicato al Cantico dei cantici nel quale due amanti, uomo e donna, attraverso il dialogo e i loro incontri inebrianti, cantano «la felicità di esistere» (p. 81). Che questo poema dell’amore, questo inno all’eros in tutti i suoi aspetti, questo dialogo dei corpi e dei cuori, con il reciproco desiderarsi e donarsi, e le passioni intrecciate una nell’altra – che uno scritto del genere si trovi nella Bibbia è «un enigma, o un miracolo» (p. 91). In tutto il Cantico Dio tace: evidentemente è d’accordo. È lui che ha creato così l’uomo e la donna, e il loro amore è «fiamma dell’Eterno» (8, 6).

I due capitoli successivi («Nell’orma[1] del silenzio, la Parola» e «Presenza nell’assenza») svolgono, da due diverse angolature, lo stesso tema: la parola reclama il silenzio, il quale, alla fine, è, per così dire, gravido di parola: l’attende e la prepara. Silenzio e parola si richiamano dunque a vicenda, uno ha bisogno dell’altra: la parola ha bisogno del silenzio per farsi sentire, il silenzio ha bisogno della parola per trovare il suo senso. Lo stesso può dirsi del rapporto tra assenza e presenza: l’assenza genera la memoria della presenza che non c’è più («Fate questo in memoria di me» dice Gesù), e la presenza diventa assenza affinché non diventi possesso, snaturandosi. Gli ultimi due capitoli («Credere quando Dio tace» e «Il ritirarsi di Dio e la responsabilità umana»), con l’ariosa «Apertura» finale, non solo tirano le fila di tutto il discorso, ma lo arricchiscono ancora, a esempio interpretando il silenzio di Dio come «una presenza discreta, una segreta approvazione data alla vita umana nella sua libertà» (p. 179) e, in parallelo, come invito all’uomo ad assumere in pieno le sue responsabilità; oppure segnalando quella che, in definitiva, resta una «ambivalenza» del silenzio di Dio, che «è, nel contempo, ferita e promessa» (p. 183). Dobbiamo concludere, ma vorremmo poter continuare: ci sono tante altre “perle” in questo libro: sarà privilegio di chi lo leggerà scoprirle e apprezzarle.

* Gérard Delteil, Al di là del silenzioQuando Dio tace. Magnano, Edizioni Qiqajon. Comunità di Bose, 2022, pp. 188, euro 18,00.

1. L’originale francese dice creux che, forse, si poteva rendere meglio traducendolo alla lettera: “vuoto”. È vero che anche l’«orma» è un vuoto, ma ha una forma, che il silenzio – anche quello di Dio – non ha. Detto questo, la traduzione di Valerio Lanzarini ci è parsa, nell’insieme, ottima. Il francese di Delteil, spesso, non è facile da rendere in italiano.