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Festival economia, serve un piano nazionale a favore della parità di genere

Cosa abbiamo imparato dai cinque giorni di Festival internazionale dell’economia che si è tenuto a Torino dal 31 maggio al 4 giugno? Nella cornice di una città che è diventata campus universitario, unendo università e politecnico, luoghi della cultura, biblioteca nazionale universitaria, accademia delle scienze e tante altre sale per il programma partecipato, sono risuonate dubbi, questioni, domande. Incontri e dibattiti si sono infatti svolti in molte sedi di associazioni culturali e enti sociali, tutti e tutte a dibattere sulle criticità e sulle mancanze per cui occorre impegnarsi per far fronte alle numerose crisi che si sono susseguite negli ultimi venti anni.

Un elemento trasversale cui sono stati dedicati incontri e tavole rotonde, ma che è risuonato anche al Circolo dei lettori nella lezione della storica delle donne Claudia Goldin e poi nelle sessioni cui ha partecipato Linda Laura Sabbadini, direttora Istat, è proprio la mancanza di un piano nazionale a favore della parità di genere che permetterebbe alle donne una piena partecipazione alla vita sociale e lavorativa, come si legge qui.
 
È un problema soprattutto di cambiamento culturale, come ha sottolineato il panel con Chiara Saraceno e Vincenzo Paglia sulla fragilità umana che va accompagnata e resa socialmente sostenibile attraverso azioni coordinate e non solo assistenziali. In diversi dibattiti le domande dal pubblico hanno rimarcato che se anche il PNRR permetterà di ristrutturare o costruire scuole e asili nido per renderli più abitabili e efficienti dal punto di vista dell’impatto ambientale, cosa succederà se una visione retrograda continuerà a tenere le giovani madri a casa – più nel Meridione che nel Settentrione ma il problema è nazionale – perché tanto il lavoro quando c’è è mal pagato o peggio caratterizzato da sfruttamento?
 
L’appello lanciato da Linda Laura Sabbadini è cruciale affinché accanto alla transizione ecologica e digitale vi sia un piano per la transizione verso una maggiore parità di genere, prendendo coscienza che il problema viene da lontano, non è solo stato causato dalla pandemia e dalla guerra ma è strutturale. 
 
Anche la proposta di un osservatorio sulle discriminazioni, presentata nel dialogo tra Tito Boeri, Thomas Piketty e Giancarlo Blangiardo, va valutata attentamente, tenendo presente due questioni: occorre una metodologia e un sistema di rilevazione dei dati su scala europea, per permettere comparazioni tra singoli Paesi. Inoltre l’osservatorio deve poter misurare tutte le discriminazioni, non solo quelle etniche o di genere. 
 
Dal festival è dunque emersa una richiesta di trasversalità e interdisciplinarieta per porre le persone svantaggiate al centro della riflessione in un impegno a delineare riforme e politiche sociali meno frammentate e più coordinate, a tutti i livelli, individuando i criteri per la valutazione di impatto rispetto all’inclusione. Laddove si è parlato degli effetti della pandemia e della guerra sulla globizzazione, sull’economia ma anche sulle comunità e sulle relazioni sociali, si è convenuto che è necessario dotare gli organismi internazionali di maggiore possibilità di intervento a favore della pace e della convivenza.