19946-2

La teologia con e nonostante le nostre passioni

Che cosa cerchiamo in un epistolario? Se si tratta del carteggio di una scrittrice o di un poeta, non sempre troviamo qualcosa di utile per capire la loro opera. Se l’autore o autrice è versato nel genere letterario epistolare (come Kafka o Flaubert), le lettere faranno parte a buon diritto della sua produzione artistica; se sono solo informative, come le tante, tantissime di Dostoevskij su debiti, contratti capestro, ritardi nei pagamenti, possono essere citate senza troppo approfondire. Un altro limite dei carteggi è che in molti casi possiamo leggere una voce sola: come una conversazione telefonica di cui ascoltiamo solo uno degli interlocutori – però Abraham B. Yehoshua ha fatto di questa condizione una tecnica narrativa dagli esiti superlativi con Il signor Mani. Altre volte abbiamo epistolari “paritari”, come quello fra la scrittrice e poeta austriaca Ingeborg Bachmann e il poeta di origine ebraico-rumena Paul Celan, naturalizzato francese (Troviamo le parole, ed. Nottetempo, 2010).

Il carteggio fra Karl Barth e Charlotte von Kirschbaum* è diverso: è una scelta dalle lettere che il teologo e la sua collaboratrice si scambiarono intorno al loro rapporto fatto di collaborazione professionale, ma anche d’amore, con conseguenze problematiche per la vita famigliare di lui e della moglie Nelly; un rapporto che ebbe, peraltro, ricadute importanti e positive sulla produzione di Barth stesso. Il volume riporta non solo un certo numero delle lettere scambiate fra loro nel periodo 1925-35: ne contiene anche alcune della moglie di Barth e di due persone vicine ai tre “protagonisti” di questa sofferta vicenda: il teologo Eduard Thurneysen e la moglie Marguerite, che spesso esprimono le idee più ragionevoli sul difficile modus vivendi di quella “famiglia estesa” (con tanto di eventuale divorzio più volte ipotizzato e accantonato), e in più cedono parte della loro ponderatezza anche agli altri: segno di una grade stima e amicizia reciproca.

Noi potremo sempre pensare che le vicende personali siano trascurabili per la comprensione dell’opera del maggior teologo del ‘900, in quegli anni impegnato nella scrittura del primo volume della Dogmatica ecclesiale e che si dibatteva fra la possibilità di insegnare e lo stringersi della morsa del controllo nazista nelle Università tedesche. A tratti pare sottovalutata la portata di Hitler (ma ciò capitò a molti), a volte risaltano con drammaticità i dissensi all’interno della Chiesa confessante, le difficoltà di dare organicità al Sinodo di Barmen. In ogni caso il continuo rovello che permea le settimane e i mesi di queste tre persone e di chi era loro più vicino, ci fa capire quanto limitati siamo come creature; non siamo solo ingegno e razionalità ma anche emotività e contraddizioni.

Nell’alternarsi delle voci colpisce la difficoltà di ognuno a porsi nei panni dell’altro o altra. Fino a un determinato momento il rapporto di collaborazione nel lavoro di documentazione, di cura e revisione dei testi che Barth andava scrivendo, come indicano i curatori Beata Ravasi e Fulvio Ferrario, fu visto come una sorta di sublimazione del sentimento che covava, ma ciò non bastò a neutralizzare l’impatto delle emozioni. Del resto, aggiungono, Barth si riteneva un teologo e non un profeta e fare teologia, e, come egli stesso indicava nel corso svolto a Basilea dopo l’emeritazione (1961/62, Introduzione alla teologia evangelica, ed. Paoline, 1990), il teologo nel suo lavoro accetta il rischio della solitudine, pur di esercitare il privilegio di «assentire alla Parola di Dio». Con, e nonostante tutte le nostre contraddizioni.

 

* K. Barth – C. von Kirschbaum, Un amore. Lettere 1925-1935*, a cura di B. Ravasi e F. Ferrario. Torino, Claudiana, 2021, pp. 253, euro 24,00.