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Medio Oriente. L’ingiustizia ingiustificabile

«Il Consiglio ecumenico delle chiese (Cec) chiede un’indagine internazionale indipendente sull’uccisione della giornalista palestinese-americana Shireen Abu Akleh avvenuto l’11 maggio. Data la grave implicazione di questa tragedia», ha affermato lo scorso 14 maggio il segretario generale ad interim del Cec, Ioan Sauca. «I responsabili della morte di Abu Akleh – ha proseguito Sauca – devono essere ritenuti responsabili e condannati nella misura massima consentita dalla legge».

Sauca, poi, ha esortato il presidente degli Stati Uniti Biden ad affrontare questo terribile atto con i funzionari israeliani, in occasione della prossima visita in Israele prevista nel giugno 2022, «al fine di definire le responsabilità e far sì che tali situazioni non si verifichino mai più in futuro».

Ottantasei giornalisti palestinesi «sono stati uccisi dal 1967, anno in cui Israele ha occupato la Cisgiordania e Gaza; 50 sono stati uccisi dal 2000 a oggi», ha ricordato Sauca. 

Abu Akleh ha raccontato fatti e eventi nei territori palestinesi e in Israele sin dal 1997 e si è guadagnata il rispetto e la credibilità in tutto il mondo, ha ricordato Sauca, proseguendo: «l’omicidio ha causato il dolore nel mondo e in coloro l’hanno ammirata. A loro porgiamo le nostre più sincere condoglianze e rivolgiamo le nostre preghiere; così come le rivolgiamo con vicinanza ai parenti stretti della giornalista» ha detto Sauca.

I funerali di Shireen Abu Akleh sono stati segnati da incidenti con la Polizia israeliana. Quest’ultima, secondo quanto riferisce la Tv Al Jazeera (testata per la quale lavorava la reporter uccisa), ha attaccato il corteo funebre che reggeva la bara della giornalista, provocando quasi la caduta del feretro. Nelle immagini, che hanno fatto il giro del mondo tra i social, si vedono i poliziotti israeliani colpire le persone mentre portano la bara della cronista. 

Lo scorso quattro maggio l’Alta Corte di Israele, poi, «ha respinto un ricorso presentato dai palestinesi sfrattati e residenti a Masafer Yatta, parte meridionale della Cisgiordania, consentendo di fatto al governo di espellere la popolazione da una vasta area dichiarata zona di tiro dell’esercito. 1200 persone resteranno senza casa.

Sauca, ha ribadito che «questa decisione provocherebbe il trasferimento forzato di 1200 persone dalle loro case in cui hanno vissuto per decenni. L’11 maggio, l’amministrazione civile israeliana ha raso al suolo 19 strutture a Masafer Yatta, la prima demolizione di questo tipo, dopo la decisione dell’Alta Corte» ha ricordato Sauca. «Nove strutture – prosegue il segretario –  erano case familiari. Il diritto internazionale proibisce di poter trasferire con la forza i membri di una popolazione occupata, contro la loro volontà. Il Cec – conclude Sauca – invita il governo e le autorità di Israele e tutte le persone di buona volontà, ad agire per fermare lo sfollamento forzato dei palestinesi dalle loro terre e dalle loro case di Masafer Yatta solo per dedicare quel terreno a “zona di tiro dell’esercito” – pretesto per demolizioni e sfratti. L’ingiustizia non potrà mai essere alla base di una pace sicura».

Photo: Albin Hillert