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Sanità, le colpe della politica

È in distribuzione in questi giorni il numero di maggio del free press mensile L’Eco delle valli valdesi, distribuito gratuitamente in tutto il territorio del pinerolese (To) e in consultazione gratuita anche sul sito www.riforma.it. Il dossier di questo mese è dedicato all’analisi dei perché della carenza strutturale di personale medico e infermieristico nel nostro Paese. Con il medico Luciano Griso scopriamo che le mancanze provengono da lontano, da decenni di scelte politiche mirate a indebolire la sanità pubblica. Buona lettura.

«Le origini di questo grave problema, quello della mancanza di personale, sono da cercare lontano, non in quanto avvenuto negli ultimi due anni». A spiegarcelo è Luciano Griso, conosciuto oggi per la sua attività di medico in Libano a Beirut con il progetto Medical Hope (che fornisce sostegno medico a tutti quei profughi che nei paesi di transito si vedono negato l’accesso alle cure per mancanza di risorse economiche. Medical Hope è sostenuto in larga parte dall’Otto per mille dell’Unione cristiana evangelica battista d’Italia) ma che in passato ha svolto ruoli importanti nella sanità pubblica come ematologo e psicoterapeuta, creando il dipartimento di Ematologia all’ospedale Agnelli di Pinerolo. «La nostra situazione è analoga nella maggior parte delle nazioni occidentali e la causa è da ricercarsi nelle scelte del potere economico che ha più peso di quelle politiche, e spesso sono fortemente collegate». Altrimenti sarebbe ovvio che in un paese come l’Italia, dove la disoccupazione giovanile è a livelli drammaticamente elevati e dove le carenze di personale sanitario sono croniche, si investisse per formare questo tipo di professionalità. Invece ci sono i “numeri chiusi” nelle Università. 

«Le scelte portano a investire maggiormente in altri ambiti, quello militare è l’ultimo esempio, e a tagliare sempre e solo in alcuni, che sono da ricondursi alla scuola e alla sanità pubblica. Nei prossimi anni è già stato programmato un calo dei fondi destinati al mondo della sanità, che aggrava una situazione già di per sé molto difficile, in fondo alla classifica europea. Le scelte per invertire la rotta devono arrivare dall’alto ma la scelta di aderire a questo sistema neoliberista porta inevitabilmente in un’altra direzione». 

Un peccato perché la sanità pubblica italiana è ancora oggi un fiore all’occhiello nel panorama mondiale e ci ha permesso di superare la pandemia.

«Sarebbe più corretto usare l’imperfetto “era”: negli ultimi 20 anni c’è stato un sistematico depotenziamento di quello che era a tutti gli effetti uno dei migliori sistemi sanitari dell’Occidente.

Tutti i cittadini possono toccare con mano gli effetti di questa politica: le assunzioni sono state per anni bloccate, il personale che andava in pensione non veniva sostituito e si è puntato al pensionamento anticipato: questo è il mio caso, sono uscito dal Sistema sanitario nazionale prima del previsto e il mio ruolo di ematologo non è stato ricoperto da nessuno». Questa situazione ha poi innescato un altro meccanismo che ci spiega meglio Griso. «La non sostituzione del personale ha poi portato infatti anche a una “fuga”, accentuatasi in questi ultimi due anni, di altro personale che è stato ovviamente messo sotto pressione, con turni più lunghi e carichi di lavoro maggiori per sopperire ai vuoti lasciati. Inoltre nella pandemia i medici in ospedale e quelli di base si sono trovati “soli” e in alcuni casi c’è stato l’abbandono della professione». 

A oggi si sa con certezza quante e quali figure professionali mancheranno fra 10 anni, eppure non si sta facendo una campagna di sensibilizzazione e di formazione adeguata. «Tornando indietro di alcuni anni gli infermieri e le infermiere venivano formati direttamente dai maggiori ospedali: ogni nosocomio aveva la propria scuola (Agnelli di Pinerolo, San Luigi di Orbassano, Mauriziano e Molinette a Torino e via dicendo) e quindi aveva un maggiore controllo sul numero di persone necessarie alla causa. Oggi, con la trasformazione in corso di laurea triennale si è imposto il numero chiuso con problemi di carenza orami noti. E sarà sempre peggio».

I motivi della penuria di “risorse umane” derivano poi anche da altri aspetti come la lunghezza del percorso formativo dei medici (10 anni, a volte allungato in modo artificioso), da uno stipendio non adeguato al ruolo ricoperto, mentre bisognerebbe ricordare come questo “mestiere” sia interessante se lo si osserva da altri punti di vista. «È un ambito di servizio verso l’altro, dal punto di vista intellettuale ha molti spunti sia scientifici sia umanistici – conclude Griso –. C’è la sicurezza del lavoro ma è indubbio che molti medici a esempio preferiscano andare all’estero a lavorare, soprattutto in Gran Bretagna, dove le gratificazioni economiche sono notevolmente migliori». La sfida attuale, è quella di riuscire ad attirare i giovani in questo ambito lavorativo. Sono scelte politiche prima di tutto che devono “accompagnare” gli interventi del Pnrr che forniranno le tanto attese strutture di prossimità e non solo. Ma queste strutture bisogna poi essere in grado di riempirle di persone che siano formate nel modo migliore.