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Torino. La diaconia? Un modo per (ri)avvicinarsi alla chiesa

 

Alberto Torchio, membro della chiesa valdese di Torino, ne coordina la Commissione diaconia e da una quindicina danni si occupa delle iniziative diaconali nel capoluogo. La più recente, avviata a marzo di quest’anno, si chiama «Comunità nutriente» e nasce, ci spiega Torchio, dall’interazione fra tre realtà: «L’Aics (Associazione italiana cultura sport), con cui la chiesa valdese è membro dell’associazione per la laicità “Articolo Zero”, ha partecipato a un bando del Comune di Torino per la ripresa post-Covid, coinvolgendo noi e Eco dalle Città”», notiziario digitale dedicato all’ambiente urbano.

Si tratta di unattività impegnativa, perché non comprende solo” la raccolta e la distribuzione, ma anche la preparazione di cibo: «Il fatto di essere in tre facilita la suddivisione dei compiti: Eco dalle città” si occupa della raccolta dei cibi dai mercati generali e di piazza e di cucinare gli alimenti;  Aics segue la parte amministrativa e organizzativa, gestendo le prenotazioni; noi, insieme ad altri, ci occupiamo della distribuzione, sia delle borse della spesa (frutta e verdura, ma anche pane, uova, conserve) sia dei pasti caldi».

Diverse persone sono impegnate in questo servizio, sottolinea Torchio: «Abbiamo aggiunto tre turni rispetto alla nostra normale attività, il martedì mattina accogliamo le persone nei locali della chiesa, serviamo le colazioni, c’è un gruppo (almeno 3-4 persone) che si occupa esclusivamente della preparazione e distribuzione delle borse, e altrettante di distribuire i pasti caldi il martedì e giovedì pomeriggio. Si sono aggiunti nuovi utenti rispetto a quelli che già conoscevamo: sia italiani che stranieri, sono persone in stato di bisogno economico, anche momentaneo, di solito però non sono senzatetto».

Questo è solo uno dei progetti diaconali gestiti dalla chiesa valdese di Torino: quali sono gli altri? La chiesa valdese di Torino ha una diaconia strutturata, spiega il coordinatore della Commissione nominata dal concistoro, esistente da molti anni e basata su un cospicuo gruppo di volontari, «circa 35 persone, valdesi e non: c’è un richiamo anche per i non membri di chiesa, un positivo riconoscimento allesterno di quello che facciamo. Sappiamo che la chiesa ha un ruolo sempre minore nella vita di tutti i giorni, ma c’è anche un grande dono di tempo ed energie per aiutare il prossimo, i nostri volontari ne sono la dimostrazione: forse la chiesa in sé ha perso il suo ruolo faro”, ma la diaconia può essere il percorso attraverso cui le persone possono (ri)avvicinarsi alle chiese».

Tra le attività storiche c’è la distribuzione di vestiti usati, e in questo momento «si sta lavorando per una maggiore visibilità e coordinamento con altre realtà, come le chiese evangeliche (battisti, avventisti, luterani) dell’area, tracciando una mappatura di quello che si fa. Abbiamo in progetto un convegno sullimpegno delle chiese nel contrasto alla povertà».

Si tratta di un lavoro parallelo a quello svolto dalla Commissione sinodale per la diaconia (Csd), presente in città con progetti importanti, a partire dai locali della chiesa valdese in via Nomaglio. Alla fine del 2021 c’è stato un incontro organizzato dal “Tavolo di Coordinamento territoriale di Torino” per far conoscere reciprocamente le due realtà, e incontri periodici fra i volontari della chiesa e gli operatori della Csd favoriscono lo scambio di informazioni su ciò che ognuno fa. Ciò permette anche di aiutarsi: è capitato, per esempio, che i Servizi Inclusione avessero bisogno di vestiti per i rifugiati, e la diaconia della chiesa di Torino li ha messi a disposizione, racconta Torchio. «Una vera integrazione dei servizi non esiste e forse non ha nemmeno senso pensarla come obiettivo finale, perché lavoriamo con modelli diversi: nella Csd non c’è sostanzialmente volontariato, su cui si basa invece la nostra attività come chiese. È una realtà più aziendale, se vogliamo, con maggiori vincoli, la nostra diaconia risponde alla comunità, in un certo senso ha maggiore elasticità».

Questo non vuol dire mancanza di professionalità: «Negli anni i volontari hanno acquisito molta esperienza, fanno una grande attività di counseling e da un paio danni come commissione stiamo tentando di trasformare un aiuto puntuale, più simile a un’elemosina, in un aiuto più a lungo termine, ascoltando di più le persone e lavorando su progetti, per esempio di sostegno al lavoro o alla frequenza scolastica».

Con l’emergenza Covid i volontari non sono diminuiti, anzi. Parallelamente c’è anche il bisogno da parte delle persone, ma sembra che le richieste arrivino dall’esterno, piuttosto che dall’interno della comunità: «La maggior parte dei nostri utenti non è valdese: con i membri di chiesa il rapporto è più delicato, c’è più riserbo anche da parte dei volontari: di certo è più facile aiutare un estraneo, che quando varca la porta forse non rivedrai più, rispetto a un fratello o sorella di chiesa che incontri la domenica al culto. Ricordiamo che la nostra diaconia ha una figura pastorale di riferimento, il pastore Jean-Felix Kamba Nzolo, che può fornire sostegno in maniera discreta».

Su questo e sulla necessità di raggiungere più persone, anche all’interno della chiesa, la commissione sta lavorando. Intanto, prosegue un lavoro che Torchio definisce di “elaborazione teorica”. Dopo il convegno sul microcredito (tenutosi lo scorso 12 novembre), è in programma il prossimo 2 giugno, in occasione del Festival dell’economia, un incontro nel Salone valdese di corso Vittorio Emanuele II in cui si parlerà del progetto «Comunità nutriente».

 

Foto di Di MHM55 – Opera propria, CC BY-SA 3.0, il tempio valdese di Torino