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Minoranze religiose vulnerabili nei conflitti

 

La retorica dell’odio è un’arma potente per creare realtà dannose per le minoranze in contesti fragili. Le minoranze religiose sono prese di mira e subiscono attacchi sia da parte delle autorità sia di privati cittadini in diversi Paesi. Così si apre un articolo che Tor Tjeransen, direttore dei media presso l’Unione avventista norvegese, dedica al commento del rapporto delle Nazioni Unite sulla libertà di religione o credo e che viene pubblicato dal sito Hopemedia delle chiese avventiste in Italia.

L’aumento del numero di conflitti a livello globale negli ultimi anni, si legge ancora,  ha privato molte comunità religiose dei loro diritti umani fondamentali, inclusa la libertà di religione o di credo. Ciò è documentato nel recente rapporto del Relatore speciale delle Nazioni Unite sulla libertà di religione o di credo. Il rapporto di 22 pagine è intitolato “Diritti delle persone appartenenti a minoranze religiose o di credo in situazioni di conflitto o insicurezza”.

82,4 milioni di persone sono state costrette a fuggire nel 2020, vale a dire oltre l’1% della popolazione mondiale. Questa situazione è aggravata dalla crisi dei rifugiati prodotta dalla guerra in Ucraina.

Il rapporto sottolinea che l’incitamento all’odio può «promuovere un ambiente in cui la discriminazione non è solo tollerata ma anche approvata dai leader politici» (p. 5). In situazioni di conflitto, le minoranze religiose sono spesso etichettate come «straniere», esponendole alla violenza. Il rapporto cita diversi esempi di tale comportamento. Uno riguarda la guerra in Ucraina: «Nelle regioni ucraine di Donetsk e Luhansk, le autorità de facto accusano regolarmente le denominazioni cristiane “non tradizionali”, come la Chiesa dei santi degli ultimi giorni e i testimoni di Geova, di essere spie dell’Ucraina e per gli interessi “occidentali”».

La retorica dell’odio è evidenziata nei social media e persino nei programmi scolastici, «influenzando le generazioni future». Nello Yemen, i leader delle aree controllate dagli houthi stanno cambiando i programmi didattici in modo che possano riflettere la loro comprensione dell’islam.

Tramite la violenza, l’intimidazione e la legislazione discriminatoria, gli Stati cercano di limitare i diritti umani delle minoranze religiose o di sradicare tali comunità. «Il Myanmar sta commettendo un genocidio contro i rohingya attraverso una campagna sistematica per estinguere o espellere le loro comunità dallo stato di Rakhine, infliggendo violenze diffuse e spesso indiscriminate» (p. 6). È noto che trentaquattro chiese cristiane e tre siti religiosi islamici sono stati distrutti nel giro di dieci mesi in Myanmar nel 2021.

Conversioni forzate 
Il rapporto è un lungo elenco di violazioni dei diritti umani subite dalle minoranze religiose nei conflitti. Le conversioni forzate sono una forma di tali violazioni. Il loro obiettivo è che le minoranze religiose abbandonino la loro identità di fede e si assimilino alla cultura principale. «Le prove mostrano che conversioni forzate di minoranze sono avvenute in Nigeria, Myanmar, Afghanistan, Pakistan e Sudan» (p. 7).

La violenza sessuale e di genere è un’altra forma di oppressione usata per distruggere le comunità minoritarie. Le storie strazianti di donne yazide in Iraq, aggredite sessualmente e ridotte in schiavitù dai soldati dell’Isil, ne sono un esempio. La difficile situazione delle donne cristiane nel nord della Nigeria è un altro esempio.

Il conflitto come scusa per le violazioni dei diritti umani 
Il Relatore speciale delle Nazioni Unite osserva che «diverse autorità statali hanno invocato situazioni di conflitto o insicurezza come giustificazioni politicamente convenienti per il loro mancato rispetto dei propri obblighi in materia di diritti umani o per strumentalizzare la fragilità di alcune comunità al fine di promuovere i loro obiettivi politici» (p. 9). Vengono citati il trattamento degli uiguri in Cina, dei palestinesi in Israele e le misure antiterrorismo dello Sri Lanka.

Le restrizioni anti Covid-19 sono state, in diversi casi, utilizzate per giustificare restrizioni ai diritti delle comunità di minoranze religiose o di credo. In Sri Lanka, India e Myanmar, i musulmani sono stati accusati di aver importato il virus o di aumentare i tassi di infezione. Alcune regioni hanno assistito a una «corona jihad» sui social media.

Ci sono prove che le autorità di diversi Paesi hanno attivamente lavorato per impedire alle minoranze religiose di ricevere aiuti umanitari. Il rapporto sottolinea gli obblighi dei rappresentanti umanitari di prestare attenzione alla fede religiosa delle comunità colpite.

Abrogare le leggi anti-conversione 
Il rapporto del Relatore speciale delle Nazioni Unite sulla libertà di religione o di credo si conclude con elenchi di raccomandazioni. La prima delle 12 raccomandazioni per gli Stati è di «promuovere e proteggere la libertà di religione o di credo delle minoranze abrogando le leggi anti-conversione e anti-blasfemia…» (p. 20).

La raccomandazione primaria per le Nazioni Unite e la comunità dei donatori è di «evitare ampie generalizzazioni sulla relazione tra religione e conflitto» (p. 21). Il rapporto contiene una raccomandazione per i rappresentanti della società civile: «I leader e gli influencer religiosi dovrebbero usare la loro autorità per promuovere risoluzioni inclusive, pacifiche e giuste dei conflitti e per prevenire l’insorgere di tensioni, in particolare se condotte in nome della religione o del credo» (p. 22).