istock-1235097140

La voce soave e dolce di Dio

Un vento forte, impetuoso, schiantava i monti e spezzava le rocce davanti al Signore, ma il Signore non era nel vento. E, dopo il vento, un terremoto; ma il Signore non era nel terremoto.  E, dopo il terremoto, un fuoco; ma il Signore non era nel fuoco. E, dopo il fuoco, un mormorio di vento leggero
I Re 19, 11-12

Gesù disse a Nicodemo: «Non ti meravigliare se ti ho detto: “Bisogna che nasciate di nuovo”. Il vento soffia dove vuole, e tu ne odi il rumore, ma non sai né dove viene né dove va»
Giovanni 3, 7-8

Può Dio parlare anche nel silenzio? E come si ascolta il silenzio di Dio? Con quale organo interiore possiamo penetrare lo spazio di questo silenzio eloquente? Occorre partire dall’inizio “dal vento impetuoso che spaccava le pietre”, accompagna il “passare o trascorrere divino” davanti alla grotta, utero indeterminato, dove il profeta infuocato, sterminatore di pagani medita sulla sua solitudine; ma Dio non è lì nello spaccare violento rocce e gole umane; poi il secondo elemento che “accompagna” il passaggio divino, non dimentichiamolo, è un terremoto che squarta la terra, denuda e fa affiorare le radici, sposta di lato il cuore, ma neppure lì si può trovare Dio che parla nel muto scandire il tempo, il proprio sangue di istanti; ma Adonai lo (la negazione ebraica) non è nel terremoto (nell’originale non vi è verbo), dunque passa Dio, vi è il rumore spaventoso del terremoto e del vento inferocito che spacca montagne, ma no Dio, Dio non è nei fragori scatenati da questi eventi naturali.

Sarà allora nel fuoco come nel cespuglio che ardeva senza consumarsi, come nelle scintille che hanno bruciato l’olocausto del Carmelo fino a cuocere le pietre dell’altare improvvisato? Elia stesso sembra essere il profeta del lampo di fuoco, sarà Dio fuoco che consuma nel centro della fiamma che ogni profeta porta in sé? Ecco, si ripete ancora la formula Adonai lo (senza verbo creatore), il fuoco, il vento e il terremoto distruggono, Dio ora lo si deve cercare nella costruzione “fuori dalla grotta” del proprio fanatismo religioso, fuori dall’utero ideologico che ci ha dato alla luce delle tenebre più fitte; Dio lo si deve cercare nella qol voce soave e dolce come un bisbiglio, figlia della ruach divina che troviamo “fuori dalla grotta”, quando usciamo da noi e ascoltiamo la “parola” del Signore che parla oltre “il parlato”, anche nel silenzio che precede sempre ogni ulteriore parola udita.