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Il ricatto del petrolio

Come tante guerre degli ultimi decenni, anche quella in corso in Ucraina è strettamente legata alla dipendenza dai combustibili fossili. Lo ha ribadito anche Giorgio Prino, presidente di Legambiente Piemonte e Val d’Aosta, raggiunto dalla trasmissione di RBE Cominciamo Bene per un’intervista. A dire il vero, lui sceglie una parola ancora più dura di “dipendenza”: definisce infatti “ricatti energetici” quelli posti dai combustibili e, in particolare, dai loro produttori ed esportatori (in questo caso, la Russia). «Non bisogna mai dividere il tema sociale da quello ambientale» specifica poi, per ribadire che non si vuole sostituire la preoccupazione ambientale con il dramma umano vissuto dai civili in Ucraina. Al contrario: è ormai sempre più miope porre le due questioni su piani diversi. Un suggerimento che suona come ovvio, ma se così fosse, come ci si spiega la corsa italiana a nuovo gas alternativo a quello russo, come principale risposta alla crisi energetica?

«L’Italia del sole e del vento non può rallentare verso la transizione ecologica, energetica e a questo punto politica» dichiara Prino, aggiungendo che sia invece necessario «accelerare sull’autoproduzione dell’energia pulita che deriva dalle nostre fonti più importanti». Sole e vento, appunto, ma non soltanto: ormai abbiamo imparato che la crisi climatica non si risolverà con una soluzione da “bacchetta magica”, ma bisognerà sviluppare e portare avanti tante risposte coordinate.

Prino invita inoltre a valutare anche l’impatto ambientale diretto della guerra, che sarà un ulteriore elemento di sofferenza sul territorio ucraino. Ma la questione ambientale è anche a monte: «Il tema delle fonti fossili è stato facilitatore del conflitto e forse anche causa di alcune scelte geopolitiche che hanno portato alla guerra, così come è accaduto negli ultimi anni». Putin senz’altro aveva sperato che la dipendenza occidentale dal suo gas avrebbe frenato le sanzioni, cosa che poi non è avvenuta, ma, per quanto illusoria, questa convinzione è stata probabilmente uno dei punti di partenza di un’invasione che illusoria non lo è affatto.

Bisogna considerare, però, anche la questione a valle, ovvero la reazione di paesi come l’Italia dal punto di vista energetico. «Le risposte» dice Prino «non sono certamente la riattivazione di centrali a carbone, le rincorse a giacimenti di gas nel mare né tantomeno al nucleare, che stiamo riscoprendo come pericolo proprio in questo momento in Ucraina». Il nucleare, infatti, sta riemergendo di recente come una delle possibili fonti di energia con le quali sostituire i combustibili fossili, visto che la produzione di gas serra è infinitamente più bassa. Ma, con gli attacchi alle centrali ucraine, ci accorgiamo nuovamente che i pericoli sono altri. Uno è di natura pratica, perché se una singola centrale produce una percentuale imponente del fabbisogno nazionale, se questa viene messa fuori uso (per attacco militare o semplice malfunzionamento) le conseguenze sono molto più disastrose rispetto agli impianti basati su solare e eolico, più adatti ad essere distribuiti sul territorio. L’altro pericolo è quello della dispersione di materiali radioattivi, come avvenne nel disastro di Chernobyl, disastro che ora rischia di riemergere visto che l’esercito russo ha occupato gli spazi della centrale, in territorio ucraino.

Le rinnovabili non mancano del tutto dai piani, sia europei che italiani, ma sono poste in secondo piano rispetto all’approvvigionamento di combustibili fossili da fonti non-russe o all’aumento delle capacità di stoccaggio di questi carburanti. «L’impressione che abbiamo è che non ci sia il necessario coraggio per dare una spinta verso le fonti rinnovabili. Fino a qualche decennio fa l’Italia era tra i precursori nell’ambito del fotovoltaico. Dobbiamo mettere in campo un cambiamento strutturale». Il parere di Prino è favorevole ad una proposta di Elettricità Futura e Confindustria di approvare la realizzazione di nuovi impianti basati sulle rinnovabili, che permetterebbe di tagliare il 20% di importazioni di gas dall’estero. Sarebbe solo un passo, ma quantomeno nella direzione giusta.

Il paradosso della dipendenza dai combustibili fossili è che, anche se considerassimo soltanto  il lato economico, mettendo momentaneamente da parte quello climatico e geopolitico, si trovano pochi argomenti a suo favore. «Qualche mese fa il ministro Cingolani accusò la transizione energetica e gli ambientalisti stessi di essere causa dell’aumento del costo dell’energia» nota Prino con amarezza. «Oggi sappiamo drammaticamente che non è così, ed è evidente a tutti. Le fonti rinnovabili sono le uniche che hanno diminuito il loro costo, e sono più stabili». Su gas e petrolio sono poi in atto, da sempre, pratiche profondamente speculatorie, come lo stesso Cingolani ha sottolineato di recente, sollevando qualche dubbio sul fatto che gli aumenti recenti di carburante siano legati in maniera trasparente alla guerra ucraina.

L’energia da fonti rinnovabili non è automaticamente impermeabile alla speculazioni: questo bisogna tenerlo bene a mente. Non è affatto impensabile immaginare che la mentalità che ha guidato finora l’industria petrolifera si adatti anche a questo settore. Ma è innegabile che la loro stessa natura renda più complesso questo tipo di pratiche. La transizione energetica intanto eliminerebbe, o limerebbe molto, il peso dei paesi esportatori di petrolio, visto che in ogni parte del mondo ci sono modi di sfruttare rinnovabili sul posto. L’influenza dei grandi esportatori di petrolio verrebbe meno. Le rinnovabili hanno anche il pregio di essere molto varie, perciò si offrono meno all’essere monopolizzate e trattate come una singola fonte sulla quale contrattare.

Ma la politica arranca anche a livello locale, nota Prino. Il Piemonte, ad esempio, da un punto di vista imprenditoriale si pone come una delle regioni più avanzate, ma è «preoccupante» la posizione assunta qualche settimana fa dal consiglio regionale aperto dedicato al clima: «dopo ore di colloqui l’ordine del giorno approvato richiamava nuovamente al metano e al nucleare». Eppure le alternative ci sarebbero: il Piemonte non può chiaramente puntare sull’eolico off-shore (pale eoliche realizzate al largo delle coste), ma si potrebbe accelerare sul biometano, sul fotovoltaico (sia in città che nei campi, collaborando con gli agricoltori), senza contare tutto il lavoro che manca nella sostituzione dei pannelli di eternit negli edifici regionali. È solo un esempio, ma mostra che le soluzioni non sono fantasie utopiche di attivisti slegati dalla realtà: sono concretamente sotto i nostri occhi; così come le devastazioni belliche alimentate dalla politica petrolifera.