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L’arrivo dei rifugiati

Molti di coloro che stanno scappando dall’Ucraina verso paesi occidentali lo fanno su strada, perciò si trovano a superare i diversi confini personalmente, senza sorvolarli in aereo. In Italia sono ovviamente interessati i confini più ad est, ed è proprio qui che Save The Children ha allestito una postazione per prestare un aiuto immediato a chi si affaccia sul territorio italiano. Per questo su RBE, all’interno della trasmissione Cominciamo Bene, è stata intervistata Silvia Faggin – esperta di protezione minori e coordinatrice dell’intervento di Save the Children in frontiera a Trieste.

Non si trovano esattamente in città, bensì al valico Fernetti, poco distante. «Non è l’unico per cui transitano le persone» specifica Faggin. «C’è anche quello di Tarvisio, ma al Fernetti c’è una zona un po’ più ampia di sosta». Per questo si sono organizzati qui vari enti. Oltre a Save The Children, «è presente la Protezione Civile, che coordina la raccolta dei beni. Sono presenti poi volontari, l’Unhcr, e tanti cittadini ucraini che vivono nella zona e che si rendono disponibili, ad esempio per necessità linguistiche».

«La maggior parte delle persone arriva con pullman» racconta ancora Faggin. Molti arrivano direttamente dall’Ucraina ma alcuni mostrano targhe diverse, ad esempio quella rumena: hanno portato rifugiati che erano in un primo momento scappati in questo paese, dal quale sono poi partiti i mezzi. Ci sono anche «molte automobili private, famiglie che raccolgono tutto e decidono di mettersi in viaggio» oltre a «piccoli van e furgoncini».

I pullman, in particolare, «sono pieni di bambini, bambine e donne, anche giovani», spiega Faggin, confermando di dati che in questi giorni raccontiamo da lontano: a scappare sono, infatti, soprattutto donne e bambini, questi con una percentuale inquietante (anche perché ai maschi dai 18 ai 60 anni è sostanzialmente vietato lasciare il Paese, ndr.): qualche giorno fa, secondo gli ultimi calcoli, erano circa un milione, ovvero la metà degli sfollati totali. Alcuni di questi sono anche molto piccoli: «In un pullman c’era una bambina di un mese, minuscola, accompagnata dalla mamma e dalla nonna. Non appena ci siamo avvicinati [la nonna] si è commossa, dicendo che non avrebbe mai pensato che potesse accaderle questo nella vita». Faggin è rimasta colpita da questa scena, che per lei è un’istantanea delle «varie generazioni in fuga da un paese, persone che vivevano tranquillamente pensando che quello sarebbe stato il posto dove avrebbero trascorso il resto della propria vita». Racconta anche di «ragazzi adolescenti che ci dicevano che sarebbero tornati presto. [Peraltro] a Sumy, proprio al confine con la Russia, una zona di estremo pericolo».

Save The Children, su quel valico, si occupa in particolare di distribuire beni di prima necessità, in coordinamento con la Protezione Civile. «Per ora i beni più richiesti, oltre a cibo e acqua, sono kit per l’igiene personale (ad esempio pannolini, salviette, assorbenti). Consegniamo spesso anche mascherine ffp2 e gel igienizzanti. Un altro bene che abbiamo distribuito per bambine e bambini sono album da disegno, pennarelli e giochi», per rendere più leggero il resto del viaggio che, per molti, sarà ancora lungo. Essendo però un punto di transito, non c’è il tempo per soffermarsi sulle singole persone, per sostenerle in modo più approfondito. Ma basta poco per notare su di loro il segno della guerra e della fuga. «Negli sguardi delle persone si vede molta stanchezza, ci sono persone che piangono, a volte basta chiedere “come stai” e fanno fatica a trattenere le lacrime».

 

Foto di Anton Nikiforov, il valico di Fernetti