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Fede e libertà: un viaggio che parte da lontano e ci conduce al nostro prossimo

Aspettiamo la primavera. Il semplice fatto di essere arrivati sin qui, alla soglia dell’attesa, è già una conquista. Quasi un privilegio pensando alla tragedia che abbiamo vissuto e che non è ancora conclusa. Possiamo quindi ripartire per tornare come prima? No, non sarà più come prima, due anni di pandemia ci hanno cambiato. Centocinquantamila morti falciati dalla pandemia ci hanno brutalmente messi di fronte alla nostra provvisorietà, fragilità, paura. La scienza ci tira, fisicamente, fuori dal fosso. Scienza e tecnologia hanno dimostrato, nella rapida trasformazione del nostro mondo, la loro funzione indispensabile. Il vaccino ci ha consentito di vivere o comunque sopravvivere, la rete telematica ci ha permesso di rimanere connessi. Abbiamo provato a vivere la nostra fede, la condivisione, la fraternità via cavo. È vero però che una fede senza fisicità è immateriale. Virtuale. Credere senza abbracciarsi, stringersi la mano, scambiarci un bacio fraterno e sorrisi, è sterile. Comunque sempre meglio che rimanere confinati dal virus.

Ripartiamo dunque. L’abbiamo fatto tante volte nella nostra avventura cristiana. Prossima tappa: la Festa della libertà. La più recente sintesi della vicenda valdese (un testo che illustra il nuovo Museo storico valdese a Torre Pellice) s’intitola Fede e Libertà. Un titolo nel quale volentieri ci riconosciamo. Infatti la libertà che stiamo per celebrare, nell’anniversario dell’emancipazione valdese (17 febbraio 1848), non è solo memoria di una minoranza storicamente repressa ma ha un suo fondamento teologico.

Il nostro è un viaggio che parte da lontano, che attraversa la Bibbia e va oltre e che non si è ancora concluso. La partenza avviene a seguito della convocazione ad personam sulla banchina del porto. Salire a bordo risponde a una chiamata personale. Una volta salpati incontriamo passeggeri conosciuti, altri no. Siamo, per così dire, tutti diversi e tutti sulla stessa barca, la cui rotta è nella mani del comandante. Non sappiamo dove questo viaggio ci condurrà; del resto lo stesso Abramo parti senza sapere dove andava (Ebrei 11, 8). Sappiamo solo che ci saranno tappe importanti. La prossima è il “porto delle libertà”. Alcuni scenderanno per non proseguire, altri resteranno per continuare.

Siamo liberi a bordo e siamo liberi a terra. Il comandante non obbliga nessuno. Anzi, in un comunicato, ricorda ai passeggeri che chi gonfia le vele dell’imbarcazione e la fa andare avanti è lo Spirito del Signore e, dove e quando, questo Spirito soffia, «lì c’è libertà» (II Cor.3, 12-18). Il timore dell’impresa è la bonaccia. Se lo Spirito non soffia la nave galleggia immobile nella vastità del mare, non procede. Più sta ferma, più i problemi aumentano. A bordo si rischia che ci si divori gli uni gli altri. Per contrastare la disperazione dell’immobilismo, c’è chi a bordo prega il Signore che soffi gagliardo sulle vele per ripartire. Ad altri questa calma dovuta all’assenza di Spirito non dispiace, ma nella fede tutto è in movimento, trasformazione, a partire dall’ingaggio iniziale: «Tu vieni e seguimi». Partire e ripartire sempre di nuovo, abbandonare le nostre certezze, le sicurezze anche faticosamente costruite per andare verso nuovi approdi e situazioni, del resto «non è stato ancora manifestato ciò che saremo».(I Giovanni 3,2)

Il “porto delle libertà” che ci attende rappresenta la ragione stessa dell’essere protestanti. Lutero, con due parole, ha illustrato la nostra libertà: «Un cristiano è un libero Signore su ogni cosa ed è un servo volonteroso nei confronti di ciascuno». Una libertà senza amore del prossimo rischia di diventare arbitrio. La libertà religiosa significa che ciascuno ha diritto di trovare risposte alle proprie domande attingendo là dove vuole senza pretendere di imporre agli altri la propria verità. Consola sapere che la sorgente, da cui sgorgano i ruscelli che corrono verso il fiume, è unica.

A 74 anni dal varo della Costituzione, il cui dettato registra (non a caso) la libertà religiosa come uno dei temi più presenti, non è più rinviabile l’esame parlamentare di una nuova legge sulla libertà religiosa. Oggi, su questo tema di grande rilevanza sociale, Daniele Garrone, nuovo presidente della Federazione delle chiese evangeliche in Italia, dichiara: «Intensificheremo l’attività di indagine e di mobilitazione sui temi della libertà religiosa – che deve essere uguale per tutti, senza privilegi e discriminazioni – e della laicità, a cominciare dalla scuola pubblica». Ripartiamo da questa bella notizia, che ci fa sperare di riuscire a dare corpo e anima alla volontà del legislatore: «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali» (art. 3).

Il Sinodo valdese e la Federazione delle chiese evangeliche, da un quindicennio, chiedono al Parlamento di dedicare la Giornata del 17 Febbraio alla libertà di coscienza, di opinione e di religione. Abbiamo atteso quasi quarant’anni per attuare, nel 1984, le Intese previste per le religioni diverse dalla cattolica con la Repubblica italiana (art. 8). Quanto dobbiamo ancora attendere per dotarci di una legge che inquadri l’attuale complessità del mondo religioso? Speriamo che la volontà giuridica, culturale e politica si concretizzi, laicamente, in quest’ambito. Che succeda prima che ignoranza, intolleranza, discriminazioni, privilegi, chiusure prevalgano. La storia ci ricorda che la religione può esprimere valenze distruttive. Meglio chiarirne confini e possibilità, per colmare diseguaglianze e illuminare i tanti coni d’ombra. Confermando la nostra lealtà nei confronti della Repubblica e della sua Costituzione.

Foto di Pietro romeo