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Le origini del XVII febbraio

Con Giorgio Tourn, pastore valdese in emeritazione e storico, ripercorriamo le origini e l’attualità del 17 febbraio, la festa “civile” della Chiesa valdese. L’articolo è ospitato dalle pagine del numero di febbraio de “L’Eco delle valli valdesi”, in distribuzione gratuita in tutto il pinerolese.

«Il 17 febbraio per i cattolici non ha avuto nessuna rilevanza: era un dettaglio giuridico, mentre per i valdesi ha significato una data fondamentale perché da quel momento è cambiato il loro statuto giuridico. Per i valdesi certo è cambiato praticamente tutto sotto il profilo rigorosamente giuridico e formale mentre sotto il profilo pratico si può dire che è cambiato pochissimo o nulla, perché il vero cambiamento nell’ottica valdese era avvenuto cinquant’anni prima: con la Rivoluzione francese i valdesi erano entrati come cittadini veramente liberi nella Repubblica cisalpina. La rivoluzione era quella e loro rimanevano con quell’idea; invece nel clima del 1848 con il regime di Carlo Alberto, clericale e chiuso, si ebbe una normativa giuridica che ebbe rilevanza solo per i valdesi nell’area piemontese e che poi avrà scarso rilievo per i valdesi fuori dalle Valli. È un aspetto più che altro formale, ed ecco due esempi che lo testimoniano: il primo avviene poche settimane dopo l’editto: un contadino valdese un po’ ingenuo non si tolse il cappello al passare della processione a Luserna: era il marzo del 1848 e il poveretto fu processato e condannato a una multa feroce e dovettero fare una colletta per poterla pagare. L’altro fatto è che 100 anni dopo, nel 1948, il pastore Achille Deodato che si trovava in servizio nel napoletano dovette fare intervenire i carabinieri per evacuare il cimitero e poter seppellire un membro di chiesa in quanto la popolazione si era talmente ribellata a quella presenza protestante che impediva la sepoltura»

– Quale significato ha la giornata di festa? 

«Il punto interessante è il significato della festa nel percorso dal 1848 a oggi. Il
17 febbraio è passato da quel giorno di euforia vissuto anche dal Sinodo dello stesso anno, che decise che quella data rimanesse come importante, da festeggiare tutti gli anni. Il Sinodo successivo, nel ’49, disse che invece quella data non interessava e bisognava festeggiare lo Statuto. Dopo quell’anno non si celebrò nemmeno lo Statuto e la data sparì anche dalla memoria per un po’ di tempo. Venne recuperata in seguito, a due livelli: nelle scuole e nelle associazioni giovanili. 

Le scuole valdesi faranno del 17 febbraio la loro festa. Quello è il gran giorno delle scuole, tutti con le bandiere di ogni scuola, dalle varie borgate, arrivano nel tempio centrale. Il pastore e il maestro fanno i discorsi, i bambini recitano le poesie e cantano, è la festa della scolarità, non ha un carattere religioso ma puramente storico-evocativo.  Promotore di questo movimento è il moderatore Pietro Lantaret, pastore a Pomaretto, che si batte affinché il 17 febbraio diventi la festa scolastica. Questo, finché durano le scuole valdesi: quando non ci saranno più le scuole valdesi, rimarrà comunque la festa della scolarità valdese. 

L’altro filone è quello delle Unioni dei giovani. I giovani dicono: noi dobbiamo ricordare quella festa perché è stato l’inizio della nostra missione di fede e i giovani danno un tono di appartenenza di fede alla festa. In quel giorno i bambini ricevono un piccolo dono alimentare (un panino bianco, all’epoca raro, accompagnato da un frutto come il mandarino o i fichi secchi, altrove anche un pezzo di formaggio) e un opuscolo stampato per iniziativa di due valdesi torinesi, banchieri che regalavano a tutti i bambini questo piccolo volume con una storia, un episodio o personaggio della storia valdese. Da lì l’idea dell’opuscolo storico che la Società di storia valdese (oggi Società di Studi valdesi) distribuirà in occasione del 17 febbraio, tradizione che dura ancora oggi. Questo è il filone della commemorazione storica, che va avanti così fino alla fine dell’Ottocento. Quando poi le scuole valdesi chiudono, la festa del XVII Febbraio prosegue ad essere il momento dei bambini, con le scuole domenicali e i catecumeni, però pian piano non essendoci più i maestri, ci sono al posto i pastori e questo diventa dunque un momento di identità confessionale. Non è ancora un culto ma un momento in cui i valdesi dicono: siamo una comunità di fede, ricordiamo i nostri padri e dobbiamo vivere secondo il vangelo. Questo fin dopo la Prima Guerra mondiale. Poi arrivano gli anni del fascismo e dopo le leggi del 1929-1930 si sente non la persecuzione ma l’emarginazione, e si assiste a un ricompattamento. Il 17 febbraio diventa il momento del ricompattamento identitario. È una seconda fase, e pian piano la festa assume un carattere sempre più di fede e si trasforma in un momento di culto con l’intervento delle corali, diventa un momento commemorativo. Questo, almeno fino al secondo dopoguerra». 

– Gli ultimi anni con il cambiamento di ottica e mentalità e la trasformazione che c’è oggi: che cosa diventa la festa? 

«Diventa il momento identitario di una minoranza etnico-culturale. Oggi, con un profilo di minoranza socio-culturale, diventa per l’ambiente esterno il carnevale dei valdesi e per i valdesi la nostra festa identitaria. I cortei, le bandiere, il falò, sono un momento di identità cultural-religiosa di una minoranza ormai accettata, non più emarginata a cui partecipano tutti, valdesi e cattolici, enti civili, associazioni. 

Questa è l’ultima fase del percorso, questo terzo punto è il più importante per l’evoluzione della festa da momento scolastico a momento di confessione di fede sotto il fascismo, fino a oggi come momento di identità etnico-culturale». 

 

Immagine di Pietro Romeo