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Pietre d’inciampo e luoghi della memoria, un nuovo progetto guarda ai giovani

Le prime pietre d’inciampo sono arrivate a Venezia nel 2014. Da allora, ogni mese di gennaio, la loro posa è diventato un appuntamento imprescindibile per la città. Ventinove quelle collocate negli scorsi giorni. «Un mosaico sempre più ampio per mantenere viva la memoria», come hanno evidenziato le istituzioni coinvolte (tra cui la Comunità ebraica) in questo itinerario fluido, in divenire.

Una nuova iniziativa arriva ora a dare manforte nella sfida educativa correlata. Si tratta di “Pietre d’Inciampo, luoghi della memoria e realtà aumentata”, un progetto di public history sviluppato dall’Università Ca’ Foscari in collaborazione con la Comunità e con il contributo della Regione Veneto. Tra gli obiettivi quello di aumentare il coinvolgimento cognitivo ed emotivo dei cittadini «per promuovere una migliore comprensione della storia».

Ventidue le pietre, ventidue le figure che si raccontano. Una storia drammatica e quindi «affrontata con tutta la sensibilità che questo tema così delicato richiede» spiega il responsabile scientifico Fabio Pittarello. Ad affiancarlo Alessandra Volo e Alessandro Carrieri, i due “digital humanists” che l’hanno supportato nella realizzazione di un percorso che mette al centro non solo questa selezione di stolpersteine tra le tante che hanno trovato dimora in Laguna ma anche «sei luoghi pubblici di memoria» scelti per la loro valenza. Mentre l’implementazione tecnica è stata affidata all’informatico Tommaso Pellegrini.

L’applicazione, presentata in ateneo insieme al vicepresidente della Comunità Paolo Navarro Dina, è già pronta all’uso «e si caratterizza, in Europa, per la sua unicità: non solo per la qualità tecnica del prodotto, ma anche per il percorso scientifico rigoroso che ne è la premessa», evidenzia ancora Pittarello.

Prezioso anche l’apporto di quelle nuove generazioni cui il progetto si rivolge, come gli studenti del Liceo Benedetti-Tommaseo che sono stati coinvolti in un progetto didattico che li ha portati a confronto con l’uso di archivi (come quelli di Yad Vashem e Cdec) e fonti. Due, spiega Carrieri, le tipologie prese in considerazione: primarie come «documenti scritti, fotografie, testimonianze scritte e orali, giornali e riviste dell’epoca» e secondarie «costituite da opere storiografiche a loro volta basate su un lavoro condotto sulle fonti da altri studiosi». L’uso critico di entrambe, sottolinea, «ci ha permesso di interrogare, interpretare e ricostruire».

Una prima dimostrazione pratica si è svolta nei pressi della pietra d’inciampo collocata all’ingresso di Ca’ Foscari in ricordo di Olga Blumenthal, che vi insegnò dal 1919 al 1938 come assistente alla cattedra di lingua e letteratura tedesca e in seguito come insegnante di italiano per alunni stranieri. Con la promulgazione delle leggi razziste si ritirò a vita privata, continuando a svolgere la sua attività di insegnante presso la Scuola ebraica. Il 30 ottobre 1944, a 71 anni, venne arrestata dai nazisti. Sarà uccisa all’arrivo a Ravensbruck. A lei è dedicato il libro “Olga Blumenthal. Storie di una famiglia e di una vita” di Emilia Peatini. 

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Tratto da Moked.it