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Un po’ di Romanipen per contrastare il razzismo

Una mostra vuole fare luce su una cultura totalmente emarginata e discriminata, verso la quale il razzismo esiste ed è talmente assimilato dalla cultura italiana dominante da non essere quasi mai neanche intercettato dai radar dell’inclusività. 

Parliamo della cultura romanì, parliamo di persone la cui appartenenza etnica è quasi diventato sinonimo di malvivenza; una consuetudine assimilata anche dai maggiori media italiani, come dimostrano i termini usati recentemente da quasi tutte le principali testate per raccontare di una giovane ragazza che ha denunciato i propri parenti perché la costringevano a rubare. Notizia balzata in primo piano grazie al ”Rom” inserito nel titolo che va a risvegliare uno dei principali luoghi comuni su questa minoranza. Come se essere Rom, a meno di non volersi dichiarare apertamente lombrosiani, abbia rilevanza quando si va a raccontare la vita di profondo degrado a cui le persone sono costrette quando limitate nei propri diritti e confinate in campi e baracche senza servizi. La vita di chi vive nei campi meriterebbe di avere più spazio, ma va ricordato, che almeno per quanto riguarda Rom e Sinti in Italia, rappresenta una minima percentuale rispetto ai Rom e Sinti perfettamente integrati.

Oltretutto denunciare il degrado non è lo scopo della mostra di cui parliamo: “Romanipen. Identità e storia della cultura romanì”, curata da Rašid Nikolić.

Ne parla Natascia Mazzon, referente generale dell’ambito rom dell’Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII che promuove l’iniziativa: «La mostra è il momento finale di un lavoro durato due anni, portato avanti come capofila dall’associazione Comunità Papa Giovanni XXIII, nel progetto europeo Latcho Drom, che significa in romanes, buon viaggio, buon cammino. Noi abbiamo studiato un viaggio all’interno della cultura Rom attraverso un percorso specifico che poi è culminato, ed è ancora nel pieno dello sviluppo, con la mostra multimediale. Il progetto è finanziato dall’Unione Europea nel quadro di un programma chiamato Rights, Equality and Citizenship ed è realizzato in partenariato con il comune di Rimini, e il Center for the Study of Democracy di Sòfia, in Bulgaria». 

Il progetto ha avuto più fasi: una rivolta alle comunità rom e sinte dove dove sono state elaborate delle attività laboratoriali con bambini e ragazzi della scuola primaria e secondaria di primo grado, e degli interventi per garantire il sostegno scolastico e il diritto all’istruzione dei bambini rom e sinti, soprattutto in questo periodo di pandemia. Viene poi data assistenza a ragazze e ragazzi nel passaggio dal completamento del ciclo scolastico al mondo del lavoro. In più è stata garantita l’assistenza legale per coloro in difficoltà all’accesso ai servizi e nella regolarizzazione dei titoli di viaggio.

Un’altra fase è stata poi rivolta agli operatori del settore con corsi di formazione di due tipi, uno rivolto agli enti locali e uno rivolto agli educatori volontari. Un particolare non scontato è che più della metà dell’equipe che ha portato avanti il lavoro è formato da persone rom.  
La mostra rappresenta il culmine di questo percorso ed da poco si è spostata a Torino, ai Bagni Pubblici in via Agliè 9. L’esposizione è stata prima a Cuneo, poi si sposterà a Rimini e infine a Roma, dove riceverà la collaborazione dell’Unar, l’Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali. 

«La mostra – continua Natascia Mazzon- è fondata su questo principio: promuovere la conoscenza per abbattere il pregiudizio. Il progetto Latcho Drom ha come finalità il contrasto all’antiziganismo. La mostra ha un’impronta particolare perché non si vedranno bambini sporchi, non si vedranno campi rom, non verranno rivendicati diritti, ma si avrà una fotografia reale di quello che è il popolo rom, che per la gran parte vive pienamente l’integrazione. Su 180.000 rom, pochi rispetto a tanti altri stati europei, in Italia solo il 25% sono le persone che vivono nell’emarginazione, il restante 75% della popolazione romanì vive una piena integrazione e inclusione. Noi conosciamo attraverso i media soltanto una piccola fetta, si parla solo di emarginazione e di esclusione; noi vediamo sono manifestazioni di degrado che non rappresentano manifestazioni culturali proprie del popolo Rom. In questa mostra attraverso la storia, la cultura, la musica, l’arte, i personaggi che hanno fatto la storia, non solo del popolo rom ma anche italiana, attivisti che hanno dato un grosso contributo, si va alla scoperta di tutto quello che non viene detto».