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Il silenzio come attesa di Dio

Anima mia, trova riposo in Dio solo, poiché da lui proviene la mia speranza
Salmo 62, 5  

Chi ha orecchi per udire oda
Matteo 11, 15

Alcuni salmi includono un’antifona, potremmo dire un ritornello, ripetuto più volte nel testo. Il salmo 62 ne contiene due, che sono quasi identiche: «Solo in Dio trova riposo l’anima mia; da lui proviene la mia salvezza. Lui solo è la mia rocca e la mia salvezza, il mio alto rifugio, io non potrò vacillare»: questa è la prima antifona, ai vv. 1-2. La seconda è quasi uguale; cambia la forma verbale, che non è più all’indicativo ma all’imperativo: «Anima mia, trova riposo in Dio solo»; e cambia anche la motivazione, perché dalla salvezza si passa alla speranza: «poiché da lui proviene la mia speranza». 

Salvezza e speranza sono in fondo sinonimi, nel senso che «sono concretamente la stessa realtà sotto due angolature, da parte di Dio (la salvezza promessa) e da parte dell’uomo (la speranza della salvezza» (Gianfranco Ravasi, Il libro dei Salmi, EDB, Bologna 1983, vol. II, p. 253). 

Molto particolare l’espressione «trovare riposo in Dio», che letteralmente si potrebbe tradurre anche con «fare silenzio in Dio». «L’anima mia attende silenziosa solo il Signore, perché è da Lui che deriva la mia speranza», legge una traduzione ebraica (Tikkùn Tehillìm, ed. Moise Levy, Milano 2008, p. 179). «È l’evocazione – spiega ancora Ravasi – dell’abbandono silenzioso del bimbo tra le braccia della madre (Salmo 131), è lo stare in silenzio davanti a Dio e attendere senza irritarsi per chi ha successo (Salmo 37); un silenzio diverso, però, da quello attonito e quasi disperato di Giobbe (2, 13)» o da quello dell’orante del Salmo 39, che afferma: «Come un muto sono stato in silenzio, ho taciuto senz’averne bene; anzi, il mio dolore s’è inasprito» (v. 2). Il silenzio, in altre parole, non è sempre drammatico: può anche essere espressione non verbale della lode a Dio, dell’attesa serena, fiduciosa e carica di speranza del credente.