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Polemiche negli Usa per le parole della Chiesa presbiteriana sulla «schiavitù» imposta da Israele ai palestinesi

Il tema dell’occupazione israeliana dei territori palestinesi è fra quelli più delicati e forieri di feroci polemiche.

Negli Stati Uniti un recente intervento il portavoce dell’Assemblea della Chiesa presbiteriana Usa, J. Herbert Nelson II, ha riacceso la discussione. Nel giorno dedicato alla memoria di Martin Luther King Nelson, nel sottolineare il grande impegno del pastore battista per la giustizia per tutte e tutti i figli di Dio, ha fatto riferimento alle ingiustizie attualmente patite dal popolo palestinese: «confisca delle ricche terre che hanno coltivato per generazioni, distruzione dei loro raccolti, barriere per accedere ai loro luoghi sacri di culto, mancanza di accesso a certi tipi di lavoro e altre forme di opportunità economiche. Come popolo sono separati gli uni dagli altri dal blocco militare di Gaza. Mentre il mio riferimento a queste ingiustizie come “schiavitù” può sembrare estremo a molti e, naturalmente, offensivo per la maggior parte degli israeliani, nessuno che sia informato sull’uso del potere militare e dei pregiudizi razziali per controllare la vita dei cittadini palestinesi può onestamente evitare la verità di questa situazione». In conclusione Nelson ha fatto appello «alla comunità ebraica degli Stati Uniti nella speranza che possa unirsi all’appello rivolto al governo degli Stati Uniti perché ponga in atto azioni volte a concludere questa immorale schiavitù».

Da qui le accuse giunte immediatamente dalla Conference of Presidents of Major American Jewish Organizations, che rappresenta 53 gruppi ebraici su suolo americano: «Usare la memoria del Dr. Martin Luther King Jr. per fare affermazioni che collegano il conflitto israelo-palestinese alla schiavitù e poi invitare la comunità ebraica americana a usare la sua “influenza” con il governo americano non solo è ingiusto, ma è anche pericoloso. Si tratta di un tropo antisemita di lunga data sugli ebrei».

Non è la prima volta che la PcUsa, storica denominazione protestante mainline con 1,2 milioni di membri, ha irritato parte del variegato panorama degli ebrei statunitensi con le opinioni sulle politiche israeliane nei territori occupati.

Le organizzazioni ebraiche degli Stati Uniti federate nella Conference hanno anche preso di mira altre denominazioni protestanti, tra cui la Chiesa Unita di Cristo e la Chiesa Metodista Unita condannando, ad esempio, una risoluzione adottata dalla Chiesa Unita di Cristo che definisce la continua oppressione patita dal popolo palestinese, «un peccato».

L’Israel Palestine Mission Network [Ipmn], organizzazione che fa parte della Chiesa Presbiteriana sostiene invece Herbert Nelson, II: «Ipmn è contro tutte le forme di bigottismo, discriminazione e odio, compresi l’antisemitismo e l’islamofobia. Il modo migliore per opporsi all’antisemitismo è essere solidali con tutte le lotte per la giustizia . Il momento di maggiore attenzione di oggi sui diritti umani presenta la sfida per superare la supremazia bianca privilegiata e il colonialismo, richiedendo che ci organizziamo attraverso questioni, temi e movimenti per creare società multiculturali e democratiche in cui tutte le persone hanno uguale valore e uguali diritti.

I nostri impegni ci portano a parlare con coraggio e a organizzare momenti di riflessione e azione insieme ai nostri partner ebrei, musulmani e di altre religioni. Spesso scomode e impegnative, le parole del nostro rappresentante e l’eredità stessa di King ci ricordano che la giustizia è dura da conquistare e che dobbiamo spingere e sfidare anche i nostri amici più stretti. Per questo chiediamo uguali diritti per tutti in Israele/Palestina e cerchiamo di rispondere alla chiamata del profeta Michea: fare giustizia, amare la misericordia e camminare umilmente con Dio».