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Thích Nhất Hạnh, il monaco della pace

Thích Nhất Hạnh, il monaco zen e l’esule politico vietnamita, leader spirituale buddista globale, chiamato Thay, “maestro”, dai suoi seguaci, è morto sabato 22 gennaio, in Vietnam. Aveva 95 anni. La sua morte è stata annunciata da Plum Village, la sua organizzazione di monasteri. 

Era tornato in Vietnam tre anni fa, esprimendo il desiderio di trascorrere i suoi ultimi giorni nel suo tempio, il Tempio Tu Hiếu, a Hue. “Lo descriverei come il secondo buddista più famoso al mondo, dopo il Dalai Lama”, ha detto Donald S. Lopez Jr. uno studioso di buddismo dell’Università del Michigan.

Ha trascorso 39 anni in esilio dal Vietnam a causa del suo impegno a favore della pace che lo ha messo in conflitto con le politiche dei governi del Vietnam del Nord e del Sud, oltre a non aver risparmiato critiche alle politiche statunitensi nella regione.

Solo nel 2005 il governo vietnamita gli permise di tornare in patria per una visita. Quando lo fece, disse: «Non c’è nessuna religione, nessuna dottrina più alta della fratellanza e della sorellanza».

In esilio, Thích Nhất Hạnh ha fondato la rete di centri monastici Plum Village, il più grande dei quali è nel sud-ovest della Francia, vicino a Bordeaux. Trascorreva gran parte del suo tempo lì quando non viaggiava per il mondo per lezioni, conferenze e altri impegni pubblici. Oggi, Plum Village France è il più grande centro di ritiro buddista in Europa e ospita circa 200 monaci e monache. Prima della pandemia di coronavirus, ospitava anche decine di migliaia di visitatori all’anno che venivano per ritiri, workshop e altri brevi soggiorni.

Altri sette centri si trovano in Germania, Australia, Thailandia, Hong Kong e negli Stati Uniti. 

Formatosi nella tradizione vietnamita Thien (Zen), l’approccio di Thích Nhất Hạnh al buddismo era eclettico. Combinò diverse scuole di pensiero buddista Mahayana, o nord-indiano-tibetano, con elementi di psicologia occidentale.

Autore di più di 130 libri di prosa e poesia, circa 100 in inglese, il suo approccio si adattava bene a quello che ora è conosciuto in Occidente come mindfulness – la popolare pratica di meditazione buddista orientata all’auto-aiuto, sull’azione individuale motore di un cambiamento sociale positivo, che ha guadagnato un ampio successo globale.

«La meditazione non è fuggire dalla società, ma tornare a noi stessi e vedere cosa sta succedendo. Una volta che c’è il vedere, ci deve essere l’agire. Con la consapevolezza sappiamo cosa fare e cosa non fare per aiutare».

Per molti occidentali contemporanei disincantati dalle loro religioni di nascita, ma ancora immersi nell’associazione tipica delle fedi abramitiche della “giustizia” con il bene sociale, il buddismo impegnato è stato un naturale adattamento psicologico e politico, aumentando la sua popolarità.

Nato Nguyen Xuan Bao nel Vietnam centrale nel 1926, come giovane monaco, nei primi anni ’50 Thích Nhất Hạnh divenne attivo in uno sforzo di riforma del buddismo vietnamita calato nel mondo di oggi.

Quando la guerra arrivò in Vietnam, i monaci e le monache si trovarono a dover decidere se aderire al loro stile di vita tradizionale, strettamente contemplativo e monastico, o aiutare i sofferenti della guerra.

Thích Nhất Hạnh scelse di fare entrambe le cose, fondando il movimento del buddismo impegnato, un termine che usò per la prima volta nel suo libro “Vietnam: Lotus in a Sea of Fire” (1967). 

Thích Nhất Hạnh ha anche studiato e insegnato al Princeton Theological Seminary (1961) e, più tardi, alla Columbia University. 

Thích Nhất Hạnh tornò in patria nel 1963, immergendosi nel movimento anti-guerra della nazione. Insegnò anche psicologia buddista all’Università buddista Vạn Hanh in Vietnam.

Nel 1966 si recò nuovamente negli Stati Uniti per condurre un simposio sul buddismo vietnamita alla Cornell University. 

Quello stesso anno Thích Nhất Hạnh incontrò anche il pastore battista Martin Luther King Jr. e lo esortò a denunciare pubblicamente la guerra del Vietnam, cosa che King fece in seguito. 

King con una lettera nominò Thích Nhất Hạnh per il premio Nobel per la pace del 1967. Nella sua richiesta, King scrisse: «Non conosco personalmente nessuno più degno (di questo premio) di questo gentile monaco del Vietnam. Le sue idee di pace, se applicate, costruirebbero un monumento all’ecumenismo, alla fratellanza mondiale, all’umanità». Il comitato del Nobel non assegnò un premio per la pace quell’anno.

 

Adattamento da Religion News Service

Foto di manhhai via Flickr