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Cristo Gesù, criterio dell’unità

Gioiscano ed esultino in te quelli che ti cercano; e quelli che amano la tua salvezza dicano sempre: «Sia glorificato Dio!»
Salmo 70, 4

Il Dio della pazienza e della consolazione vi conceda di aver tra di voi un medesimo sentimento secondo Cristo Gesù, affinché di un solo animo e d’una stessa bocca glorifichiate Dio, il Padre del nostro Signore Gesù Cristo
Romani 15, 5-6

Il nostro passo è incorniciato da due riferimenti alla speranza. Essa è legata alle Scritture e alle promesse fatte ai padri. Dare corpo a come la speranza si relaziona con la vita nella comunità è lo scopo di questi versi. L’intento dell’apostolo Paolo è di rendere la speranza escatologica una realtà attuale. Nelle comunità a cui scrive, compresa quella di Roma, egli spera di attualizzare ciò che è stato promesso nelle Scritture e mira a creare un ambiente in cui «le nazioni» e «il popolo di Dio» possano adorare il Dio di Israele «con una sola voce». Per la comunità di Roma, questo significa concretamente che i credenti di Cristo devono incarnare un’etica dell’accoglienza reciproca, sia i gentili dei giudei, sia i giudei dei gentili. Questo atteggiamento di apertura e accoglienza è il centro dell’identità della comunità. Il desiderio di Paolo per la comunità è che essa “pensi la stessa cosa”.

Lo scopo è quindi l’unità di pensiero, ma Paolo aggiunge che questa unità di pensiero tra due popoli – Israele e i gentili – avviene «secondo Cristo Gesù», perché l’unità di pensiero non significa che le diversità scompaiano, ma che c’è un criterio dell’unità in mezzo alle diversità e questo criterio è Cristo Gesù. Se Cristo rimane il fattore decisivo per la comunità, allora la comunità può raggiungere l’unità attraverso la sua diversità e così glorificare Dio. La glorificazione è importante, ma deve essere fatta come comunità. Questa è la concretizzazione – oggi solo nella comunità – di ciò che in futuro si vedrà nell’incorporazione delle «nazioni» nel popolo di Dio, accanto a Israele.

Unità secondo Cristo significa anche che le differenze non vengono cancellate. I membri non devono conformarsi a un particolare modello di comportamento, ma devono rendersi conto che il carattere essenziale e determinante della loro identità è ora Cristo.

Avere «un medesimo sentimento», «un solo animo» e «una stessa bocca» non significa avere quel desiderio di comunione profonda, indistinta, immediata, che nasconde un desiderio carnale più che uno spirituale di comunione “mediata” da Cristo (Dietrich Bonhoeffer ha scritto pagine pregevoli su questo argomento in Vita comune, ed. Queriniana). Significa invece che le nostre chiese sono chiamate a questa accoglienza fondata in Cristo. Non si tratta di una tiepida ospitalità che semplicemente permette a chiunque di entrare purché si adatti alle “posizioni” della comunità, si conformi alle usanze della chiesa, o segua l’agenda stabilita dai dirigenti della comunità. Piuttosto, l’accoglienza “deve minacciare” coloro che la offrono, deve spingere chi c’è già fin sulla soglia della porta d’ingresso della chiesa e costringerli ad accettare coloro che vengono così come sono, senza cercare di uniformarli alla pratica dominante.