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Voglia di incontrarsi alla luce dell’amore di Dio

«Quest’anno siamo qui, schiavi; l’anno prossimo saremo liberi in terra d’Israele», si legge nella Haggadah, la liturgia della Pasqua ebraica. Mi sia consentito parafrasare questa affermazione applicandola a noi, come un auspicio per il nuovo anno per le chiese evangeliche battiste, metodiste e valdesi. Nell’anno che si è appena concluso – e anche in quello precedente – siamo stati infatti “schiavi” della pandemia, che tra le altre cose ci ha costretti a rinunciare a buona parte dei nostri tradizionali appuntamenti “democratici”, rinviandoli sine die o al massimo ripiegando su eventi on-line o misti. 

Così, a esempio, l’Assemblea generale battista non si è potuta riunire dal 2018; il Sinodo delle chiese metodiste e valdesi è stato rinviato nel 2020 e si è tenuto in forma mista e ridotta nel 2021; anche l’Assise triennale della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (Fcei), che avrebbe dovuto svolgersi nell’autunno 2021, è stata rinviata a data da destinarsi. Nonostante l’aiuto fornito dagli strumenti di incontro on-line, la possibilità di riunirsi in presenza e di discutere faccia a faccia rimane una risorsa insostituibile. Specialmente per il protestantesimo, l’impossibilità di incontrarsi ha costituito una vera e propria schiavitù, una «cattività babilonese della Chiesa», per riprendere il titolo di una famosa opera di Lutero, che però si occupava di sacramenti. Ma la citazione non è del tutto impropria, perché se durante il lockdown duro della primavera 2020 molti cattolici lamentavano l’impossibilità di celebrare l’eucarestia, la vera “astinenza”, da un punto di vista protestante, è stata ed è proprio quella dall’esercizio regolare della “democrazia ecclesiastica”.

Negli ultimi due anni, dunque, siamo stati schiavi; nel 2022, nonostante la pandemia continui a imperversare, grazie ai progressi della campagna vaccinale ci auguriamo e speriamo che saremo liberi e che – a Dio piacendo – potremo recuperare molti degli appuntamenti perduti. 

Il primo, dal 22 al 25 aprile, sarà l’Assemblea generale dell’Unione battista (Ucebi), chiamata a rinnovare l’esecutivo e a discutere un documento predisposto dall’attuale Comitato, Il compito dell’Ucebi, che molto ha fatto discutere già negli incontri preparatori regionali (on-line, ovviamente!). Il documento si ripromette la «valorizzazione della pluralità delle posizioni teologiche ed etiche espresse dalle Chiese» che fanno parte dell’Unione: ma fino a che punto si può spingere il pluralismo? Questo è l’oggetto del dibattito, in particolare su alcuni temi scottanti come l’accoglienza delle persone omosessuali e i ministeri femminili, che fanno problema specialmente nelle comunità formate da credenti di origine straniera. 

Il secondo appuntamento sarà il Sinodo delle chiese valdesi e metodiste, a fine agosto. Non sappiamo ancora quali saranno i temi al centro dell’incontro (che si spera essere interamente in presenza – ma esiste un piano B, quello di ripetere l’esperienza “mista” del 2021); in ogni caso è probabile che si riprenda il tema del diritto al lavoro, affrontato nel 2021 in collegamento con la crisi sociale provocata dalla pandemia.

Il terzo appuntamento, in data ancora da definire, sarà l’attesa sessione congiunta dell’Assemblea battista e del Sinodo valdese e metodista. I diversi incontri preparatori su piattaforma on-line – promossi in collaborazione con Riforma – hanno riscosso un notevole successo: ma riusciremo a ridare davvero fiato a un cammino comune iniziato più di trent’anni fa e che mostra evidenti segni di fatica, visto che l’ultima Assemblea/Sinodo risale all’ormai lontano 2007? Personalmente non posso che augurarmelo di cuore, da credente cresciuto nello spirito di collaborazione che si respirava nella Federazione giovanile evangelica (Fgei) ben prima che fosse approvato il documento di reciproco riconoscimento tra battisti, metodisti e valdesi (1990). Documento che, anche se è stato criticato da autorevoli teologi accademici, a mio avviso resta una profezia ecumenica più che mai attuale: il tentativo di far convivere il protestantesimo più “classico” con esperienze evangeliche di stampo risvegliato e al tempo stesso laico, risorgimentale e attento alla dimensione sociale.

Il quarto appuntamento, anch’esso ancora da definire, sarà l’Assise generale della Fcei. Come già accennato, il perdurare della pandemia ha convinto lo scorso Consiglio e l’Assemblea a rinunciare a un incontro che prevede la partecipazione di circa 150 delegati, senza contare gli invitati. L’Assise, più che un appuntamento amministrativo, è un incontro del “popolo evangelico” che serve a indicare le grandi linee del lavoro della Federazione e della testimonianza evangelica nella società: difficile che un incontro del genere si possa fare on-line o anche con formula mista. Non sappiamo quale tema vorranno dare a questo incontro il nuovo Consiglio e la nuova Assemblea, ma si può immaginare che si partirà dalle domande (ispirate dalla Bibbia e attualizzate nel contesto della pandemia) che il Consiglio Fcei uscente aveva posto nell’introduzione al Rapporto triennale 2019-2021: «Che cosa vedi? Nulla sarà come prima? Che fai qui?» (vedi il testo del Rapporto triennale sul sito www.fcei.it ).

Da ultimo, per aprire il nostro orizzonte limitato di minoranza evangelica in Italia, spostiamoci in campo internazionale per segnalare l’Assemblea del Consiglio ecumenico delle chiese (Cec), che dopo alcuni rinvii si svolgerà a Karlsruhe (Germania) dal 31 agosto all’8 settembre. Tutte e tre le nostre denominazioni ne fanno parte, ma a causa del numero minimo di membri necessario per avere una rappresentanza, solo i valdesi potranno inviare una delegazione. «L’amore di Cristo muove il mondo alla riconciliazione e all’unità», è il titolo dell’Assemblea, l’undicesima dalla fondazione del Consiglio ecumenico nel 1948. «L’amore di Dio in Cristo è inclusivo e ha in vista la riconciliazione e l’unità dell’intero creato», ha affermato recentemente padre Ioan Sauca, segretario generale ad interim del Cec (visita a papa Francesco, 9 dicembre 2021). Ed è proprio questo amore inclusivo che ci spinge a «desiderare vivamente» di poterci presto incontrare, così da poterci confortare «a vicenda mediante la fede che abbiamo in comune» (Romani 1, 12).