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Le armi del femminicidio

 

Ad una settimana di distanza dalla Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, torniamo sul tema per soffermarci su un particolare aspetto della questione, affrontato sulle frequenze di Radio Beckwith Evangelica nella trasmissione Cominciamo Bene

A partire dalle rilevazioni della Commissione del Senato riguardo alle sentenze e alle indagini sui femminicidi nel 2017 e 2018, è stato intervistato Giorgio Beretta, analista dell’Osservatorio permanente sulle armi leggere (OPAL) di Brescia. In particolare, è il rapporto tra alcuni numeri a saltare all’occhio. Si comincia dagli oggetti utilizzati per commettere questo tipo di omicidio: dietro al 32% rappresentato da armi da taglio, segue l’utilizzo di armi da fuoco, che sono usate nel 25% dei casi; il 16% se si contano soltanto le armi legalmente detenute.

Il dato, da solo, dice poco. Ma a fianco possiamo mettere la percentuale di persone che in Italia detiene legalmente armi, ovvero circa l’8% della popolazione adulta. Questo significa che una percentuale significativa di femminicidi è eseguita da chi possiede una licenza per armi, smentendo la posizione che spesso assume chi difende il loro possesso sostenendo  che “Non sono le armi ad uccidere, bensì le persone”. Se questo fosse vero, le due percentuali dovrebbero coincidere, o quantomeno essere molto più vicine. Invece è evidente che un’arma da fuoco, sebbene regolarmente detenuta, sia un fattore rilevante e decisivo nell’aumentare il rischio di femminicidio.

Il problema parallelo è la quasi totale mancanza di attenzione su questo tema, una grave disattenzione della classe politica che sembra sottovalutare la capacità dei cittadini di ottenere armi da fuoco. In realtà i requisiti per ottenere una licenza sono relativamente semplici da dimostrare. A qualsiasi cittadino esente da malattie nervose e psichiche, non alcolista o tossicodipendente, è consentito di ottenere una licenza per armi dopo aver superato un breve esame di maneggio delle armi e un controllo da parte della Questura sui suoi precedenti penali. In seguito, non c’è modo da parte della polizia di compiere verifiche sulla consapevolezza da parte del nucleo familiare del fatto che ci sia un’arma in casa, perché da dieci anni manca il regolamento attuativo della legge.

Ci sono quindi alcune leggi che non vengono applicate, ma occorrerebbe anche introdurne di nuove. Se non è infatti possibile prevedere sempre la deriva violenta di una persona, sarebbe necessario restringere la possibilità di ottenere un’arma, passando ad esempio da una verifica  psichiatrica e da un esame tossicologico annuale sui detentori di licenza per armi. Andrebbe anche rivista la tipologia di armi che si possono detenere secondo il tipo di licenza: chi ha quella per uso sportivo non dovrebbe essere in grado di possedere legalmente armi che esulano da quell’ambito, commenta Beretta; lo stesso dovrebbe valere per la caccia o per la difesa abitativa. Nodo cruciale, infine, le munizioni, che sia dal punto di vista della loro accessibilità in casa, sia da quello della loro letalità, possono fare un’enorme differenza sul rischio di essere uccisi in casa.