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Germania: per la prima volta una condanna per genocidio degli yazidi

Storico. Per la prima volta un tribunale ha stabilito che i massacri perpetrati contro la popolazione yazida, la comunità di lingua curda nel nord-ovest dell’Iraq equivalgono a un “genocidio”, già riconosciuto come tale dagli investigatori delle Nazioni Unite. Martedì 30 novembre, i giudici dell’Alta Corte Regionale di Francoforte hanno condannato Taha Al-Jumailly, 29 anni, all’ergastolo per «genocidio, crimine contro l’umanità con conseguente morte, crimini di guerra e complicità in crimini di guerra». «Questo verdetto è una vittoria per i sopravvissuti al genocidio, i sopravvissuti alle violenze sessuali e per l’intera comunità yazida”, ha affermato Nadia Murad, ex schiava sessuale dell’Isis e figura yazida di fama mondiale.

La lettura della sentenza è stata brevemente interrotta dopo che il condannato, che ha seguito il procedimento con un interprete, ha perso conoscenza. Taha Al-Jumailly, 29 anni, entrato a far parte dello Stato islamico nel 2013, è stato condannato per aver lasciato morire di sete, nell’estate del 2015 a Fallujah, in Iraq, una bambina yazida di cinque anni. Per questa drammatica vicenda, la sua ex moglie Jennifer Wenisch, 30 anni, è stata già condannata a dieci anni di carcere il mese scorso a Monaco di Baviera.

Nora B., la madre della vittima, che fa parte di un programma di protezione dei testimoni, ha dichiarato di essere «sollevata», secondo quanto riferito da uno dei suoi avvocati, Natalie von Wistinghausen, in una dichiarazione all’agenzia AFP. «E’ nei crimini commessi contro di lei e sua figlia che si materializza l’ideologia dell’Isis, di cui uno degli obiettivi era la distruzione della religione e della comunità yazida», ha aggiunto l’avvocata. 

Questo verdetto era atteso con impazienza dalla comunità ormai decimata. È «un giorno storico per l’umanità. Il genocidio degli yazidi sta finalmente entrando nella storia del diritto penale internazionale», ha commentato Natia Navrouzov, avvocata e membro della Ong Yazda che raccoglie le prove di questi crimini. L’avvocata libanese-britannico Amal Clooney, a capo con Nadia Murad di una campagna per far riconoscere questi abusi come genocidio, vede in questa sentenza «il momento che gli yazidi stavano aspettando».

 La madre della piccola ha raccontato il calvario sopportato dalla figlia, «legata a una finestra» fuori casa con temperature «fino a 51° all’ombra», secondo il verdetto. Taha Al-Jumailly intendeva punire la ragazza per aver urinato su un materasso. La madre ha testimoniato di essere stata ripetutamente violentata dai jihadisti dell’Isis dopo che i suoi componenti hanno invaso il villaggio nelle montagne di Sinjar, nel nord-ovest dell’Iraq, nell’agosto 2014.

La minoranza etno-religiosa yazida è stata particolarmente perseguitata dallo Stato islamico, che ha ridotto le sue donne alla schiavitù sessuale e ucciso centinaia di uomini. Degli 1,5 milioni di yazidi nel mondo, l’Iraq aveva la più grande comunità con 550.000 membri fino al 2014. Almeno 100.000 sono partiti in esilio all’estero e diverse centinaia di migliaia sono diventati profughi interni al Paese. Secondo le Nazioni Unite, più di 1.280 yazidi sono stati uccisi, lasciando centinaia di bambini orfani e quasi 70 templi sono stati distrutti. Più di 6.400 yazidi sono stati rapiti e solo 3.300, per lo più donne e bambini, sono stati salvati o sono riusciti a fuggire. Sono state identificate diverse decine di fosse comuni. A maggio, una squadra investigativa speciale delle Nazioni Unite ha annunciato di aver raccolto «prove chiare e convincenti» del genocidio.

Lo yezidismo, nato in Iran più di 4000 anni fa, è monoteista. I suoi fedeli, di lingua curda, pregano verso il sole e adorano, oltre a Dio, sette angeli, il principale dei quali è Melek Taous (“Angelo-Pavone”). Ha le sue origini nel mazdeismo e nel culto di Mitra e ha incorporato elementi dell’Islam e del cristianesimo. I bambini sono battezzati con acqua, i ragazzi sono circoncisi e gli uomini possono sposare fino a quattro donne. Il suo luogo più sacro è Lalish, un insieme di templi con cupole coniche tra le montagne, percorso dai fedeli a piedi nudi. 

Iracheni non arabi e non musulmani, gli yazidi sono da tempo una delle minoranze più vulnerabili del Paese. Migliaia di loro sono fuggiti dalla persecuzione sotto Saddam Hussein (1979-2003). Nel 2005, la Costituzione ha riconosciuto il loro diritto al culto e le loro quote per i funzionari eletti. 

Per processare Taha Al-Jumailly, arrestato in Grecia nel 2019, la Germania applica il principio della «giurisdizione universale» che consente a uno Stato di perseguire gli autori dei reati più gravi anche quando sono stati commessi al di fuori del territorio nazionale. Questo processo lancia quindi «un messaggio chiaro: non importa dove siano stati commessi i crimini e non importa dove si trovino gli autori, grazie alla giurisdizione universale, non possono nascondersi», sottolinea Natia Navrouzov. La Germania, sede di una grande diaspora yazida, è uno dei pochi Paesi ad intraprendere azioni legali contro gli abusi dell’Isis contro questa minoranza.

 

Foto di Êzîdîxan