istock-924680480

Ciò che riceviamo da Dio

Tu, Dio, non disprezzi un cuore abbattuto e umiliato 
Salmo 51, 17

E il figlio gli disse: «Padre, ho peccato contro il cielo e contro di te, non sono più degno di essere chiamato tuo figlio» 
Luca 15, 21

Predichiamo Dio come salvatore del mondo, dunque nostro salvatore. Confessiamo che Egli, in Cristo, ci libera dal peccato e dalla morte, ci dona la vita nuova, una vita aperta alla gioia. In Cristo i nostri peccati sono perdonati, il nostro peso è tolto, veniamo invitati a deporre il giogo opprimente e a prendere su di noi il suo giogo, leggero e dolce.

Come conciliare, dunque, con la nostra predicazione le parole del Salmista che ci presentano Dio come colui che ci vuole vedere con lo spirito afflitto e con il cuore abbattuto e umiliato? Come inquadrare la confessione del figlio che si dichiara estremamente peccatore, finanche contro il cielo, ed è pronto ad assumere la condizione dell’ultimo dei servi?

Alla luce di quanto qui accennato, si sono elaborate due teologie: una che chiamiamo del successo, del benessere, dell’escalation “di valore in valore”; l’altra che chiameremo dell’umiliazione e della mortificazione. Due modelli in contrapposizione che fanno apparentemente riferimento a Dio, ma che evidenziano scelte meramente umane, in cui non si cerca l’incontro con Dio, ma l’affermazione del proprio agire,  ora con l’ostentazione del proprio successo, ora per via della mortificazione del corpo. 

Il Salmista ha una nuova prospettiva. Non intende presentarsi a Dio con l’orgoglio e la presunzione di chi vuole dare qualcosa a Dio. Ha capito che nell’incontro, non è Dio che riceve qualcosa da noi (sangue o grasso di animali, che rifiuta), ma siamo noi che riceviamo da lui quel che è al di là delle nostre possibilità, non già per nostro merito, ma per grazia. Riceviamo perdono, nuove opportunità di vita, dunque gioia, pace e in prospettiva la vita eterna.