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Il Servizio Cristiano di Riesi compie 60 anni

Il Servizio Cristiano di Riesi (Caltanisetta), opera fondata dal pastore valdese poi senatore della Repubblica Tullio Vinay, festeggia i suoi primi 60 anni di attività educativa, sociale, culturale, sanitaria a favore della Sicilia e del nisseno in particolare. In programma: venerdì 22 ottobre alle ore 17 ci sarà un evento pubblico presso il Salone Polivalente del Servizio Cristiano, mentre domenica 24 ottobre alle ore 11 si celebrerà un culto pubblico sempre presso l’Istituto valdese (via Monte degli Ulivi, 6).

In occasione di questo importante anniversario, abbiamo rivolto alcune domande a Gianluca Fiusco, da 14 anni direttore di quest’opera.

Cosa si è conservato e cosa è cambiato della visione iniziale che animò Tullio Vinay?

«Il Servizio Cristiano è senza dubbio cambiato dal 1961; in questi ultimi anni stiamo riscoprendo la figura del teologo Tullio Vinay, pastore valdese che non ha mai predicato una “sua” utopia o un suo messaggio per l’umanità, ma ha sempre predicato la Parola di Dio e l’agape del mondo nuovo di Cristo, tanto nell’esperienza delle opere che ha partecipato a realizzare – Agape a Prali (To) e il Servizio Cristiano a Riesi – quanto nella sua esperienza al Senato e negli ambiti in cui fu coinvolto. Proviamo a fare questa riscoperta resistendo alla tentazione di mitizzare la figura storica di Vinay, e leggendo criticamente il nostro presente avendo consapevolezza del nostro passato. Questo significa che le attività che oggi svolgiamo rientrano pienamente nella testimonianza che portiamo avanti in questo territorio, coscienti che il Servizio Cristiano non è nato a Riesi come punto di arrivo ma come punto di partenza. Vinay, nel terminare il libro Giorni a Riesi – che verrà ripubblicato nelle prossime settimane dall’editrice Claudiana insieme ad un mio Diario – scrisse: “allora, quando avremo compiuto quello che dobbiamo compiere, ricominceremo tutto di nuovo”. Questo per dire che non siamo a Riesi perché siamo di Riesi, ma siamo qui perché insieme a Riesi vogliamo guardare al mondo, alle sfide della società contemporanea, alle domande che ci interrogano e anche a tutte le criticità che accompagnano le attività che svolgiamo: da quella scolastica a quella educativa, dall’agricoltura all’ospitalità, dall’impegno culturale fino a quello sociale e sanitario. In tutti questi campi proviamo a tradurre in gesti, in azioni concrete, in professionalità, in impegno, la Parola del Signore che ci dice che se l’ultimo soffre, anche noi soffriamo».

Alla base del Servizio Cristiano c’è uno spirito europeo e internazionale. Come si concretizza questo nello specifico?

«Innanzitutto, la seconda lingua che si parla al Servizio è il tedesco: già nella lingua che usiamo per comunicare tra noi c’è la necessità di andare verso un linguaggio che superi l’italiano e il dialetto! Inoltre, la dimensione ecumenica internazionale è alla base della fondazione di questa opera: il Servizio Cristiano nasce come opera ecumenica internazionale non legata ad alcuna confessione religiosa. Solo nel 1974 – con la donazione degli immobili alla Tavola valdese – il Servizio diventa anche Istituto valdese; sino a quel momento è un’opera europea, sostenuta dal Consiglio ecumenico delle chiese, animata da persone di diversa provenienza. Certo, il fondatore è stato un pastore valdese, e molti valdesi hanno partecipato alla costruzione di quest’opera, ma oggi abbiamo relazioni con molti paesi europei: ci sono sostenitori e Comitati che in Svizzera, in Germania, in Inghilterra sostengono l’operato del Servizio. Come sessant’anni fa, accogliamo volontari e volontarie che arrivano da ogni parte del mondo, e che nell’arco di 6-12 mesi svolgono attività con noi, e vivono la dimensione comunitaria. Dal 2015 è rinato un gruppo residente formato non soltanto dai volontari e dal direttore, ma anche da altre persone che collaborano nell’opera. Infine, il nostro Bollettino – tradotto in quattro lingue – si rivolge ad un pubblico di circa cinquemila lettori appassionati in giro per il mondo. Quando mi chiedono “quanti membri conta la comunità del Servizio Cristiano”, io rispondo: 38 collaboratori, 156 bambini e bambine delle scuole, più gli utenti dei servizi, più i 5000 sostenitori nel mondo. Questa è la dimensione della nostra comunità a cui non possiamo né vogliamo rinunciare».

Cosa sarà il Servizio Cristiano nei prossimi anni?

«Credo che la bellezza – e anche la complessità – di questa opera stia nel fatto che essa non è ferma, ma sviluppa la sua azione e la riflessione su se stessa accettando le sfide del tempo presente e anche le variabili che queste sfide comportano. La mia speranza è che il Servizio Cristiano continui ad essere un’opera capace di osare, avendo il coraggio nel rileggere la società, non avendo paura delle sfide del tempo presente né di quelle che verranno, avendo la creatività nell’agire, puntando sulle relazioni con le persone senza aspettare che esse si consumino nella noia, nel burocratese. Spero che nei prossimi anni il Servizio Cristiano sia sempre capace di cercare empatia, affetto, passione nei confronti delle persone, dei bambini e bambine, e – rispetto al futuro che tutti vediamo sempre molto incerto – abbia fiducia nel Signore che provvede concretamente. In tutti questi anni, mi è capitato sovente di vivere periodi molto difficili in cui c’erano poche risorse finanziarie e il lavoro quotidiano era molto pesante; ecco, in tutti questi momenti posso testimoniare che la grazia di Dio non si ritira dinanzi alle nostre paure, sia perché ho visto concretamente arrivare doni ed eredità quando servivano, sia perché in questi anni ho visto maturare la forza, la consapevolezza e la fede del gruppo di persone che lavorano in quest’opera».

L’anno prossimo sarà il 15esimo della sua direzione. Non è facile fare un bilancio di questa lunga esperienza, ma riuscirebbe a dire una cosa che ha imparato, vissuto, e che rimarrà per sempre parte del suo bagaglio personale e di fede?

«Penso di aver scoperto nei minimi di questo mondo, cioè i bambini e le bambine, la speranza di Dio e di averlo fatto nella maniera più bella, cioè lavorando con loro nelle scuole. Il mio lavoro di direttore in questi anni non si è consumato dietro una scrivania, e confido che il Signore mi aiuterà a svolgerlo con lo stesso entusiasmo ancora per il tempo che sarà necessario. La grande benedizione che ho ricevuto e che mi porterò per sempre è poter lavorare con i bambini – ho fatto musica con loro in questi anni – e scoprire in loro la speranza di Dio per il mondo che viene, l’agape del mondo nuovo di Cristo, come avrebbe detto Vinay. C’è bisogno di occuparci dei minimi di questa nostra società, nel nostro caso i bambini e le bambine di Riesi, ma non soltanto; c’è bisogno di riscoprire la loro semplicità ma anche la loro voglia di guardare al futuro senza pregiudizio, con l’occhio della scoperta, con la capacità di stupirsi. Purtroppo viviamo in società complesse che, attraverso soprattutto le nuove forme di comunicazione in cui la relazione viene semplificata fino ad essere ridicolizzata, non si accorgono più dei bambini e delle bambine. Non è un caso che durante la pandemia i bambini e le bambine sono scomparsi dall’orizzonte dell’attenzione, perché interrogavano la nostra paura: mentre noi adulti avevamo paura e dipingevamo la pandemia come una guerra, i bambini avevano voglia di rivedersi, di tornare a scuola, di imparare, di vivere e piangere; la loro speranza – che io considero un grande dono di Dio – è stata ed è l’antidoto migliore contro virus peggiori che sono la paura, l’indifferenza, la noia, il disimpegno».

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