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Diritto alla mobilità solo per i ricchi. Per gli altri passaporti inutili

I cittadini dei Paesi de Sud del mondo, quelli aggrovigliati in conflitti che sembrano non aver fine, quelli dove povertà, effetti della crisi climatica, autoritarismi e guerre intestine stanno incidendo sull’aumento costante di sfollati e rifugiati interni. Tutti questi cittadini, che sono milioni e milioni, sono anche le principali vittime del deterioramento di un diritto fondamentale, quello alla mobilità.  Attenzione, non ho detto diritto alla fuga ma diritto alla mobilità.

Quello che trova riconoscimento nella nostra Costituzione (e in quella degli altri Paesi Occidentali) ma anche nella Carta dei Diritti dell’Unione Europea e nella stessa Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo. Quel diritto universale che consente solo ai cittadini dei Paesi ricchi – per lo più nell’emisfero occidentale del pianeta – di viaggiare, prendere aerei, decidere qualsiasi meta.

Qualsiasi meta il suo passaporto gli garantisca. A mostrare, nuovamente, e in tutta la sua evidenza il gap del diritto al movimento tra i Paesi ricchi e quelli cosiddetti in via di sviluppo – divario che in periodo di pandemia non ha fatto altro che allargarsi – è lHenley Passport Index .

Uno strumento che classifica i passaporti e identifica quelli «più potenti» e quelli che valgono poco o nulla. Non si tratta semplicemente di cittadini di serie A e cittadini di serie B. Il discrimine, piuttosto, è tra cittadini/individui liberi e cittadini/individui perennemente «tenuti in catene». E per i quali, spesso, l’unico modo per liberarsi dal giogo è tentare la sorte, tirando a dadi lungo la strada del deserto, quella del Mediterraneo, quella dei confini armati, murati, spinati. È un giogo istituzionale quello che li tiene oppressi e li vuole fermi lì dove sono. Complici sono gli Stati, i loro accordi “privati”, interi continenti (Europa, America del Nord, Australia…).  Nazioni culle del diritto (così tutti abbiamo imparato) ma che quei diritti li manovra come un bene (e un beneficio) personale, ristretto ad alcuni ma non a tutti. Nella politica dei passaporti, diciamolo chiaro, non vale il meccanismo della reciprocità tra gli Stati (anche se così dovrebbe essere). Ecco perché l’uso della parola «complicità» non è esagerato né usato a caso.

Dal nuovo rapporto emerge che, mentre cresce il «valore» di alcuni passaporti, quello degli Emirati Arabi Uniti, per esempio, e si conferma la «forza» di quello per la nazionalità giapponese, tedesca, della Corea del Sud o di Singapore, dal 2011 si è registrato invece un continuo calo del valore dei passaporti rilasciati in Siria, Yemen, Nigeria, Bangladesh, Gambia, Sierra Leone (questi sono solo quelli il cui posizionamento nell’index continua a scendere). Ma anche se possiedi un passaporto afghano, sudanese, somalo o congolese non te la passi bene. […]

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Antonella Sinopoli è giornalista professionista. Per molti anni all’AdnKronos. Si interessa e scrive di Africa, diritti umani, questioni sociali. Vive tra l’Italia e il Ghana. Direttore responsabile di Voci Globali

Foto: Le aree in grigio indicano i Paesi con il più basso indice di possibilità di entrare in un altro Paese senza visto o richiedendolo all’arrivo, Le aree più scure, invece, indicano i Paesi il cui passaporto consente di viaggiare nella maggior parte dei Paesi al mondo senza visto (o con visto all’arrivo). Dal sito Henley & Partners