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L’accoglienza dispari

Il fine settimana del 2 e 3 ottobre ha visto diversi eventi legati al tema delle migrazioni. Nella notte tra sabato e domenica a Lampedusa si è tenuta la commemorazione del terribile naufragio che portò alla morte di 368 migranti nelle acque al largo dell’isola il 3 ottobre del 2013. Mediterranean Hope, programma per migranti e rifugiati della Federazione delle chiese evangeliche in Italia, era presente all’appuntamento. Proprio in quei giorni, peraltro, circa 600 persone arrivavano via mare sull’isola.

Mediterranean Hope è stata presente anche ad un dibattito organizzato sabato pomeriggio da MEDU – Medici per i diritti umani, sulle risposte italiane ed europee che, nel corso degli anni, hanno seguito le rotte migratorie attraverso il Mediterraneo.

Nella trasmissione Cominciamo Bene, su Rbe, ne avevamo parlato venerdì con Serena Leoni, Coordinatrice territoriale di MEDU a Firenze.

«Da qualche anno» ci ha detto «abbiamo deciso di aprire le nostre assemblee generali con dei momenti di riflessione aperti al pubblico». Quest’anno, si poteva assistere soltanto tramite diretta video. Partendo dalla più grande e recente crisi umanitaria, quella afghana, il dibattito intendeva «fare il punto su come le crisi che si sono sviluppate negli ultimi anni e decenni in Africa sub-sahariana e anche in Afghanistan sono state trattate dagli stati occidentali e dall’Europa, riflettendo con organizzazioni che lavorano in questi stati». Oltre a MEDU e a MH, erano presenti rappresentanti di COSPE e di RESQ, assieme all’Università del Salento.

Il dibattito è stato anche un’occasione «per dare un quadro generale su come le migrazioni nell’epoca della globalizzazione si muovono e di come spesso non siano un’emergenza, ma un fatto: l’uomo e la donna si spostano e migrano quando le condizioni di vita non sono ideali e quando ci sono delle crisi umanitarie forti, ma noi continuiamo a trattare questi movimenti naturali con politiche emergenziali. Vogliamo riflettere anche su come, con la crisi afghana, ci sia stato un movimento di opinione pubblica e delle istituzioni per l’accoglienza, almeno per alcune categorie, come donne e bambini, o persone che hanno collaborato con organizzazioni o con lo stato italiano, con l’apertura di voli umanitari». Però, sono stati esclusi gli uomini, con la tacita etichettatura, secondo Leoni, di “possibili terroristi”. In questo caso, ha proseguito, «la risposta è stata immediata e i voli umanitari sono partiti. Mentre, in altri casi, davanti a crisi umanitarie si fa una fatica incredibile ad organizzare corridoi sicuri e i migranti sono obbligati ad affidarsi a trafficanti, a rotte pericolose, tra Libia e Mediterraneo, diventato il cimitero d’Europa».

Leoni ha poi portato il deciso punto di vista di MEDU sulle politiche europee di lunga data. «C’è stata una nuova presa di posizione dell’Europa contro lo sfruttamento dell’immigrazione, che poi si traduce sempre in “diamo soldi per tenerli al di là del Mediterraneo: finanziamo misure affinché non attraversino il mare”. Poi, di cosa succeda nella sponda sud del Mediterraneo, poco interessa; poco interessa quante centinaia di migliaia di persone vengano detenute in carcere e in condizioni assolutamente al di fuori di qualsiasi rispetto del diritto umano. Noi su questo ragioniamo da anni. Sicuramente la politica dell’accoglienza deve cambiare: non può più essere emergenziale, bensì strutturale. E bisogna creare una strada che permetta loro un viaggio sicuro».

Oltre ai temi centrali del dibattito di sabato, abbiamo discusso anche di un altro settore in cui MEDU è stata molto attiva in questi mesi, ovvero raggiungere con i vaccini chi, per vari motivi, risulta escluso dalle consuete comunicazioni in questo senso. «Persone che rimangono fuori dalle vaccinazioni» ha specificato Leoni «come una serie di persone che per motivi burocratici non hanno una residenza, e quindi un medico di base, e quindi qualcuno che possa prescrivere un tampone o indirizzarli ad un vaccino. O magari c’è chi ha la tessera sanitaria scaduta, perché per i richiedenti asilo, ad esempio, scadono ogni sei mesi e quindi finiscono in vortici di ostacoli burocratici. La platea che stiamo cercando di raggiungere è varia. Perciò raccogliamo delle liste di persone e le comunichiamo alle Asl che attivano degli open day o danno degli appuntamenti specifici. Quest’estate l’attività è entrata abbastanza a regime, però ci abbiamo messo tanto, rispetto alla partenza della campagna vaccinale nazionale a gennaio. Questa è stata l’ultima categoria ad essere considerata».

Non manca una certa dose di amarezza personale. «Mi sono già trovata a discutere, anche sul tema dei vaccini, con chi difende lo slogan “prima noi italiani”. Ma in una campagna vaccinale, più persone vaccini sul tuo territorio, più tutti siamo sicuri. Le persone che noi incontriamo, che spesso sono giovani e con lavori precari, si spostano sui mezzi pubblici e vengono in contando in vario modo con il resto della cittadinanza: non vaccinarli è un rischio anche per noi, se la vogliamo mettere da un punto di vista egoistico. Mentre da un punto di vista umano, è un loro diritto essere vaccinati. Come sarebbe un diritto, per i paesi da cui arrivano queste persone, accedere senza brevetti alle vaccinazioni, e quindi avere dei costi di accesso a loro portata».