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Proteggere senza cancellare: come narrare i drammi dei profughi

Nel pieno della crisi afghana, mente l’aeroporto di Kabul era assediato da migliaia di anime terrorizzate e gli aerei militari decollavano con decine di persone aggrappate in un disperato tentativo di mettersi in salvo, alcuni giornali in Italia facevano titoli che facevano leva sulla paura e minacciavano “l’invasione” che avremmo subito di li a poco. Scrivevano quelle parole che annunciavano «un milione, o forse di più» pronti a partire, con lo stesso meccanismo di innesco della paura che da dieci anni annuncia invasioni di migranti che poi non ci sono mai state.

Io li chiamo gli “spaventatori”, non-giornalisti che si mettevano all’opera nelle stesse ore in cui le persone precipitavano dagli aerei in volo e le vedevamo sui circuiti internazionali cadere nel vuoto. La crisi afghana in quei giorni terribili in cui l’umanità, che aveva aiutato l’Occidente nella sua illusoria operazione di pace, implorava di essere aiutata a mettersi in salvo da una rappresaglia certa e sanguinaria, ha visto anche questa coda di informazione disumana, corrotta dalla propaganda politica. Perché è essenziale essere sempre consapevoli di quanto un nostro sguardo disattento possa creare allarme o portare a delle conseguenze e mettere a rischio l’incolumità delle persone che vogliamo raccontare.

Ci siamo interrogati in un intenso incontro di formazione su ciò che avremmo dovuto evitare di pubblicare in quei giorni per proteggere e tutelare quelle persone, donne, bambini: un appuntamento organizzato con il contributo dell’8 per mille della Tavola valdese. Era ben evidente sullo sfondo l’impegno della Federazione delle chiese evangeliche in Italia nei corridoi umanitari, i primi mai realizzati in Europa, come ha ricordato G. M. Gillio, in apertura del confronto tra rappresentanti dell’Ordine dei giornalisti estensori dell’aggiornamento della Carta di Treviso sulla tutela dei minori, che entrerà in vigore a breve: Franco Elisei, presidente dell’Ordine delle Marche; Nadia Monetti del Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti; il fotografo Alessandro Penso, le reporter di guerra Lucia Goracci e Laura Silia Battaglia, incontro mediato dall’Associazione Carta di Roma.

Abbiamo posto l’accento sull’attualità della crisi drammatica in Afghanistan per sollecitare risposte a una domanda chiave: quali sono le scelte giornalistiche da mettere in campo nei contesti di guerra e di crisi per informare e nello stesso tempo tutelare le persone? Quali i confini da rispettare nella riconoscibilità dei soggetti intervistati? Abbiamo discusso sull’applicazione delle Linee Guida di ciascuna carta: la «Carta di Roma», protocollo deontologico vincolante per i giornalisti sui migranti, richiedenti asilo, rifugiati e vittime della tratta, siglato da Ordine dei Giornalisti, Federazione nazionale della stampa e Unhcr (agenzia Onu per i rifugiati); la «Carta di Treviso», protocollo deontologico vincolante per il giornalisti su tutela della dignità dei minori, firmato da Ordine e Fnsi.

Siamo partiti dal tema della visibilità e della tutela dell’identità dei rifugiati, uno dei principi cardine della Carta di Roma, e dall’appello che come Associazione abbiamo lanciato sulla necessità di tutela dell’identità delle persone che nell’ambito della crisi afghana venivano intervistate, con particolare attenzione ai nomi e a tutti i dettagli che potevano consentire di identificarle. La necessità di avere cura della tutela dell’identità di queste persone è ben rappresentata in episodi che negli anni passati hanno messo in pericolo i rifugiati.

Quello più clamoroso è dell’ottobre 2013, seguito al naufragio di cui si è celebrato l’anniversario. Nella foga di fornire tutti gli elementi necessari a comprendere che cosa fosse accaduto a Lampedusa, venne pubblicato anche un documento della Questura di Agrigento con l’elenco completo dei 155 superstiti del naufragio del 3 ottobre. Quei ragazzi però, come tutti gli oltre 500 a bordo di quel barcone, erano eritrei, fuggivano da una dittatura sanguinaria. Dopo la pubblicazione venimmo a sapere che il regime aveva imposto ai familiari di quei ragazzi il pagamento di pesanti multe ed era stato imprigionato chi non era in grado di pagare, ovvero molti di loro.

Di contro – secondo tema affrontato – i minori subiscono una vera e propria rimozione attraverso l’uso “totale” del blur (elaborazione infografica che consiste prevalentemente nell’offuscamento dei tratti in foto) che ne oscura i volti e, di fatto, li cancella da quegli scenari assieme alle loro specifiche richieste d’aiuto. Su questo tema abbiamo provato a rispondere a un interrogativo: è davvero necessario rimuovere per proteggere? È un tema complesso, legato alla necessità di coniugare l’esigenza di un racconto giornalistico per immagini completo con la necessità di tutelare l’identità di chi scappa.

Argomenti complessi, sui quali abbiamo avviato una riflessione che richiede certamente un “secondo giro” per provare a comporre un ventaglio di buone prassi in cui trovare una sintesi replicabile che protegga senza cancellare.