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Armenia-Azerbaijan, le precisazioni dell’ambasciatore azero in Italia

In reazione all’articolo “Pace e rispetto dei diritti in Nagorno-Karabakh” pubblicato sul sito di Riforma in data 14 settembre, abbiamo ricevuto la nota dell’ambasciatore dell’Azerbaigian in Italia, Mammad Ahmadzada, che riproduciamo qui di seguito:

“Spett.le Redazione,

Vi scrivo questa nota in relazione all’articolo da Voi diffuso in data 14 settembre, dal titolo “Pace e rispetto dei diritti in Nagorno-Karabakh”.

Innanzitutto vorrei evidenziare, per i Vostri lettori, che non esiste un’area geografica definita Nagorno-Karabakh, ma esiste il Karabakh, regione dell’Azerbaigian che, a partire dagli inizi degli anni ’90, è stata sotto occupazione militare da parte dell’Armenia, insieme con la regione azerbaigiana dello Zanghezur orientale – pari in totale al 20% del territorio dell’Azerbaigian.

Per quanto riguarda il fatto che le ricadute del conflitto siano sulle spalle degli abitanti, vorrei sottolineare che erano azerbaigiani – nel numero di oltre 1 milione – coloro che ne hanno sofferto per tre decenni, vittime di pulizia etnica, costretti ad abbandonare le proprie case e a non poterci far ritorno, neppure per far visita alle tombe dei propri cari, come risultato dell’aggressione militare dell’Armenia contro l’Azerbaigian. Dopo circa 30 anni di dolore e sofferenza, l’Azerbaigian è riuscito a liberare i suoi territori e a ripristinate la sua integrità territoriale, come richiesto dalle quattro risoluzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, ignorate dalla parte armena.

Nel Karabakh e nello Zanghezur orientale,  finalmente liberati, il mondo oggi è spettatore di devastazione e distruzione senza precedenti, causate dall’occupazione delle forze armate dell’Armenia, che per 30 anni hanno commesso una sistematica cancellazione di tutte le tracce di appartenenza di questi territori all’Azerbaigian. L’Armenia, durante gli anni di occupazione, ha inoltre reso questa area una delle più minate al mondo: mine le cui esplosioni continuano ancora a togliere la vita ai civili azerbaigiani, nonostante la liberazione dei territori. Oggi il mio paese è impegnato – con le proprie risorse – in un grande lavoro di sminamento, imperativo per una ricostruzione dell’area completa e che porterà al ritorno dell’oltre 1 milione di profughi interni azerbaigiani alle proprie case. 

Vorrei anche sottolineare che l’Azerbaigian ha liberato tutti i prigionieri di guerra armeni, in linea con la Dichiarazione Tripartita del 10 novembre 2020. Gli armeni che si trovano detenuti oggi in Azerbaigian si sono introdotti illegalmente nel territorio azerbaigiano dopo la firma della Dichiarazione stessa, contrariamente  a quanto concordato, e sono autori di atti di terrorismo contro civili azerbaigiani.

Vorrei ricordare che l’Azerbaigian è un modello di multiculturalismo con, alla base della sua società, il pieno rispetto per tutte le etnie e le religioni, testimoniato anche dalla numerosa delegazione azerbaigiana presente all’Evento G20 Interfaith Forum svoltosi a Bologna in questi giorni, nell’ambito della Presidenza italiana. Tutte le manifestazioni religiose sono tutelate in Azerbaigian, così come il rispettivo patrimonio artistico e culturale, che viene restaurato e sviluppato costantemente: nel centro della stessa capitale, Baku, è conservata anche una Chiesa armena, oggetto di restauro recente e che oggi contiene circa 5.000 testi in lingua armena.

L’Armenia invece ha commesso un genocidio culturale contro l’Azerbaigian, distruggendo tutto il patrimonio storico-culturale e religioso azerbaigiano sia nel territorio dell’Armenia, che nei territori dell’Azerbaigian, che ha sottoposto ad occupazione. Di distruzione dovrebbe parlare quindi proprio l’Armenia, che ha demolito e oltraggiato tutti i nostri monumenti e ridotto in stalle le nostre moschee. La parte armena non ha risparmiato addirittura i monumenti cristiani, come dimostrano le tristi immagini della distrutta chiesa russo-ortodossa di Khojavend, e l’armenizzazione di numerose chiese dell’Albania caucasica, negli ex territori occupati, prova della mancanza di rispetto degli occupanti armeni per la cristianità, contrariamente all’immagine che l’Armenia ha costruito di sé nel mondo cristiano.

La guerra oggi è alle spalle, il conflitto è finito e l’Armenia deve abbandonare i sentimenti di revanscismo, la propaganda ingannevole nel mondo contro l’Azerbaigian e riconciliarsi con la nuova realtà, imperativo per la pace e la sicurezza duratura nella regione.

Cordiali saluti,

Mammad Ahmadzada, Ambasciatore”

 

Non entriamo nel merito della comunicazione riprodotta qui sopra, che riportiamo fedelmente; precisiamo soltanto che l’articolo cui si fa riferimento è frutto di una elaborazione di alcuni testi prodotti dalla Kek, la Conferenza di chiese europee, agglomerato di 114 chiese ortodosse, anglicane e protestanti presenti su suolo europeo. L’occasione era quella di una conferenza internazionale sulla pace e la libertà, organizzata dall’8 al 12 settembre a Vagharshapat in Armenia su iniziativa del Patriarcato armeno di Costantinopoli. La redazione di Riforma