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Che cos’è un pastore oggi

Che cos’è un pastore oggi? La domanda sembra banale, in una chiesa protestante. Ma la risposta non è per nulla scontata. Lo sanno bene le chiese battiste, metodiste e valdesi italiane, che stanno conducendo una profonda riflessione sui ministeri nella realtà ecclesiastica attuale, in cui sono sempre più vitali i cosiddetti “ministeri laici”.

Lo sanno bene anche le chiese protestanti europee, che vivono da tempo la sperimentazione di nuove forme di chiesa (più volte abbiamo parlato delle “fresh expressions”) e quindi nuovi ministeri.

Il mensile Échanges, delle chiese della Epudf (Chiesa protestante unita di Francia, dal 2013 unisce le chiese riformate e luterane) della regione Pacca (Provenza, Alpi, Corsica, Costa Azzurra), nel numero di settembre presenta un dossier dedicato proprio a «Ministeri nella chiesa: nuove sfide» (lo si può sfogliare sul sito https://echanges.presseregionaleprotestante.info): «Dallo scorso febbraio – si legge nella presentazione – le chiese locali sono invitate a riflettere su un documento intitolato “Missione della Chiesa e ministeri”. La materia sarà studiata nei sinodi regionali di novembre e al sinodo nazionale dei tre prossimi anni. Nuovi ministeri stanno emergendo con l’evoluzione degli strumenti digitali, ma sempre per la stessa missione: annunciare l’Evangelo e testimoniare la nostra fede in Gesù Cristo».

La figura del pastore è certo importante, osserva nel suo contributo il pastore Étienne Berthomier della chiesa di Quimper Sud Finistère, ma bisogna evitare che «l’albero [del pastore] nasconda la foresta [degli altri ministeri, che sono sia personali che collegiali]» o che addirittura la sostituisca: occorre la capacità di «favorire l’emergere di nuove forme di vita ecclesiastiche», perché «non si può più condurre un culto o un catechismo come un tempo. Anche i pastori dovranno aprirsi a queste evoluzioni per accompagnare al meglio la loro parrocchia. Non avendo ovviamente tutti i doni, dovranno lavorare più in équipe con colleghi e altri membri di chiesa, cercando sempre di essere pienamente una Chiesa di testimoni. È così, osando sperimentare, che rimetteremo in movimento i ministeri e la nostra Chiesa nella sua missione!».

In un altro articolo, scritto da Séverine Daudé, si nota come la figura stessa del pastore è in profonda evoluzione: come spiega il prof. Elian Cuvillier, responsabile degli stage parrocchiali per gli studenti dell’Istituto protestante di Teologia di Montpellier, i giovani europei, neodiplomati, cresciuti in chiese protestanti, sono appena un terzo; un terzo abbondante è formato da adulti (35-50 anni), spesso neoconvertiti o provenienti dalle chiese evangeliche, che cominciano gli studi mentre già lavorano; altrettanti sono persone di origine africana, magari già pastori o comunque impegnati nelle chiese del loro paese. Una tripartizione che riflette, tra l’altro, l’attuale composizione dei fedeli della Epudf.

Per Vincent Nême-Peyron, presidente della Commissione ministeri (Cdm) della Epudf, le sfide dei nuovi pastori sono tante: «Innanzitutto la grande diversità di situazioni. Alcune chiese si sono molto ridotte, altre sono in crescita. Pastori formati allo stesso modo, possono quindi esercitare “mestieri” molto diversi». Di certo si troveranno ad affrontare i contrasti nella gestione dei cambiamenti (non tutti saranno favorevoli), nella dinamica tra attività quotidiana ed esigenze spirituali e relazionali-personali (la vita del pastore deve essere anche al di fuori della comunità); infine, stabilire obiettivi comuni e mantenere, a livello nazionale, una «comune cultura ecclesiale», aspetto che, viste le variegate provenienze dei nuovi pastori, non è automatico.