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Crocifissi a scuola. Laicità per addizione, non per sottrazione

La Corte di Cassazione a Sezioni Unite torna a occuparsi dell’affissione del crocifisso a scuola. Con la sentenza n. 24414 del 9 settembre, la Corte propone un nuovo modello che supera in parte le disposizioni del regolamento del secolo scorso.

Abbiamo chiesto un commento all’avvocata Ilaria Valenzi, consulente legale della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (Fcei).

«La sentenza non è stata ancora pubblicata – precisa subito Valenzi –. Quindi, dobbiamo attendere la sua pubblicazione per avere una completa lettura».

Al momento possiamo basarci sul comunicato stampa della Corte di Cassazione e sulle dichiarazioni dell’Unione degli atei e degli agnostici razionalisti (Uaar) che «sono stati parte attiva di questo ricorso che è arrivato fino alle sezioni della Cassazione».

L’elemento fondamentale individuato da questa sentenza, secondo Valenzi, è che «le disposizioni del regolamento degli anni ‘20 del Novecento, riguardanti l’esposizione del crocifisso nei luoghi pubblici in generale e, in questo caso, nelle scuole, debbano essere interpretate secondo Costituzione. E pertanto con tutti i principi di uguaglianza, laicità e libertà, anche religiosa, riconosciuti dalla Costituzione stessa. Ne consegue che la Corte di Cassazione fa un passo avanti rispetto a una posizione finora consolidata. Cioè comincia a indicare un nuovo modello di rapporto con i simboli religiosi».

In cerca di un accordo che tuteli libertà religiosa e di coscienza

La strada indicata dalla Corte 1è quella della concertazione. La Corte di Cassazione intende cioè dire che all’interno della comunità scolastica sarà necessario giungere ad un accordo, ad una possibilità di scambio fra opinioni diverse, fino a raggiungere un cosiddetto ragionevole accomodamento fra eventuali posizioni difformi che potrebbero essere presenti nella comunità scolastica. Ciò potrebbe volere anche significare esporre, con il consenso del gruppo di riferimento, sia il crocifisso, così come altri simboli religiosi di altre confessioni presenti nella classe. Questo individua un modello nuovo di rapporto con i simboli nei luoghi pubblici, in particolar modo nelle scuole. E si rifà ad un modello di laicità che noi definiamo additiva, per addizione. Una laicità quindi che non escluda posizioni differenti, ma cerchi la possibilità di una soluzione alternativa. Questo non vuol dire chiaramente che il crocifisso non verrà più esposto nelle scuole, ma vorrà dire che la comunità scolastica sarà chiamata ad esprimersi, a decidere e a trovare un accordo su come gestire le differenze di sensibilità anche religiosa o della libertà di coscienza all’interno della propria realtà».

Verso una comunità scoalstica “dialogante”

Un altro elemento importante che occorre sottolineare di questa sentenza, prosegue l’avvocata Valenzi, è che «le sezioni unite hanno rilevato come la circolare del dirigente scolastico che imponeva la presenza del crocifisso senza una discussione sul merito della sua presenza o meno nella classe non è conforme al modello e al metodo di una comunità scolastica dialogante, che ricerca cioè una soluzione condivisa nel rispetto delle diverse sensibilità. Questo è un elemento fondamentale perché implica la non obbligatorietà della affissione e soprattutto la non perentorietà della decisione da parte di un potere autoritativo, in questo caso del dirigente scolastico, della sua affissione. Affissione che sarà pertanto sempre oggetto di una scelta condivisa».

Tradizione culturale del popolo italiano?

Ultimo elemento da sottolineare, anche se andrà letto entrando nel merito del ricorso dell’insegnante nei confronti della sua scuola, è che «La Cassazione si esprime, sembra, in maniera molto netta rispetto alla non presenza di una discriminazione nei confronti del docente per causa di religione. Cioè, la Cassazione a sezioni unite ribadisce un principio noto alle nostre Corti, non soltanto quella italiana, ma anche alla Corte europea dei diritti dell’uomo. Principio che definisce il crocifisso, per un paese come quello italiano, come espressione di un’esperienza vissuta, di una comunità, e la tradizione culturale di un popolo. Si intende dire in questo caso che il crocifisso rimane in qualche modo un simbolo. Viene ristabilito nuovamente il principio che il crocifisso è un simbolo della tradizione culturale del popolo italiano e sulla base di questo non costituisce una discriminazione la possibilità della sua presenza». Da questo punto di vista, pertanto, la seconda richiesta dell’insegnante, riguardante un risarcimento per essere stato discriminato, non è stata accolta. «Aspettiamo però di leggere interamente la sentenza – conclude l’avv. Ilaria Valenzi – per comprendere pienamente che cosa la Cassazione a sezioni unite ha voluto espressamente indicare con questo richiamo alla tradizione culturale del popolo italiano».

 

FILIPPO BERTA, IN OUR IMAGE AND LIKENESS, 2017. Foto di Elena Ribet