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Essere parte dell’insieme

Kathryn Mary Lohre è la dirigente per le relazioni ecumeniche e interreligiose della Chiesa evangelica luterana in America (Elca). Da sempre «valorizza tutte le relazioni tese a costruire ponti e a promuove azioni tese a favorire incontri ecumenici e interreligiosi».

Ci parli della sua vocazione…

«La mia vocazione nasce con la mia famiglia, il mio coniuge e i nostri quattro figli. Sono loro a darmi la forza, sono sempre loro a farmi tenere i piedi per terra e fornire nuove ispirazioni alla mia vocazione, a tener vivo il mio lavoro quotidiano. Dieci anni fa sono entrata a far parte dello staff dell’Ufficio di presidenza, con un mandato di due anni come presidente del Consiglio nazionale delle Chiese di Cristo negli Stati Uniti, dunque la prima donna luterana e la più giovane a ricoprire questo incarico. Ero allora una neomamma che si destreggiava tra le esigenze del lavoro e quelle della vita familiare.

Ogni volta che ero in difficoltà, il mio predecessore Don McCoid, mi ricordava che la famiglia è sempre la nostra prima vocazione, regalataci da Dio. Questo semplice incoraggiamento ha sempre modellato la mia vita ed è stato una bussola, una guida […].

La famiglia aiuta a risolvere alcune risposte delle grandi domande della fede. L’altro giorno mio figlio, il più giovane, mi ha chiesto “Dov’ero prima di essere nel tuo ventre?”. Senza esitazione ho risposto, “Con il Creatore”. Il suo sorriso, è stata la conferma teologica più profonda che abbia incontrato quel giorno».

Qual è stata la sua prima formazione religiosa? Quali incontri interreligiosi ed ecumenici ricorda quand’era una bambina?

«I miei antenati erano dei luterani norvegesi emigrati negli Stati Uniti. La loro fede era la cosa più preziosa che potessero portare con sé, un’ancora di salvezza in un mare d’incertezza. Tramandata dai miei nonni, questa eredità ha sempre costituito il centro della mia vita, condivisa con i miei genitori. Mio padre oggi è un pastore luterano in pensione e mia madre è stata la dirigente di una casa editrice della chiesa. La chiesa era la nostra vita quotidiana, come lo era il culto domenicale […]. Attraverso queste esperienze, sono arrivata a comprendere che la chiesa non riguarda solo ciò che crediamo o diciamo, ma anche il modo in cui lo viviamo come comunità di fede.

Ero anche consapevole che non eravamo l’unica comunità di fede. La mia cara amica Emily delle scuole elementari era la figlia di un rabbino […]. La nostra amicizia –la mia finestra interreligiosa – ha plasmato fortemente la mia vita […].

Il panorama religioso degli Stati Uniti è cambiato rapidamente, questo ci ha fatto riflettere sulle religioni del mondo e sul cristianesimo globale.

Un tema ancor più urgente per i nostri figli che già in giovane età frequentano incontri ecumenici e interreligiosi.

Spesso mi raccontano delle loro feste religiose celebrate con i compagni di classe – come l’Eid e Diwali – e mi fanno domande. Sanno che alcuni cristiani ortodossi celebrano il Natale a gennaio, che i cristiani neri non sono sempre al sicuro, nemmeno in chiesa, e che talvolta verso ebrei, musulmani e sikh sono rivolti sentimenti di odio.

Mio figlio maggiore ha partecipato al culto di preghiera congiunto per commemorare il 500° anniversario della Riforma, guidato dalla Conferenza dell’Elca e dal Comitato per gli affari ecumenici e interreligiosi della Conferenza episcopale degli Stati Uniti. Ha compreso la natura storica di quell’occasione ed è stato dunque un testimone del futuro, di una narrazione diversa nei rapporti tra i luterani e i cattolici. […].

La speranza per i miei figli è che possano continuare a conoscere e incontrare i loro vicini, a costruire ponti attraverso abbattendo i muri delle divisioni. I veri costruttori di ponti non ignorano i divari; costruiscono intenzionalmente qualcosa sulle divisioni per unire le persone e le speranze da entrambi i lati. […]».

Leggi l’intervista integrale sul sito del Cec.