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#saveafghanwomen, salvare le donne afghane

«Da una settimana la situazione in Afghanistan è cambiata drasticamente. Per 20 anni è stato un paese in bilico, pericoloso, complicato. Ora è come se stesse precipitando in una voragine in cui nessuno pensava di poter scivolare. Il nemico di due decenni non solo ora siede sulla poltrona di un presidente che, per quanto “broglioso”, era stato eletto − Ashraf Ghani − ma è diventato per qualcuno un partner al quale almeno si può concedere il diritto di essere ascoltato.

Su quali basi si debba basare questa fiducia, nessuno lo spiega. E su quali basi, invece, non ci dobbiamo fidare di chi per tanti anni ha vissuto nella loro minaccia, è ancora meno chiaro».

Questo l’inizio dell’appello lanciato da Radio Bullets, un progetto creato (e diretto da Barbara Schiavulli) da giornalisti e operatori dell’informazione alla fine del 2015 per dare vita, si legge sul sito «a un sogno: ritrovare la qualità di un mestiere dove indipendenza, competenza, passione e impegno siano alla base di una professione che dovrebbe essere garanzia per chi legge. E poi, soprattutto, ci sono tante notizie che non trovano spazio nei media tradizionali».

«Che i talebani abbiano invocato la Sharia, la legge islamica. Che abbiano detto che le donne vivranno felici se si atterranno a quello che ordinano, sono fatti […] », si legge ancora: «Le donne 20 anni fa non potevano uscire da sole se non con una presenza maschile. Non potevano andare a scuola, non potevano mostrare i loro volti, non potevano lavorare. Oggi i talebani promettono che non sarà così ma in realtà stanno dimostrando solo di essersi fatti più furbi rispetto agli anni Novanta: ora dicono all’America e agli alleati quello che questi vogliono sentirsi dire, e quando non visti, fanno quello che vogliono − come andare casa per casa e compilare elenchi di donne single da far sposare ai talebani. Quando i riflettori dei media occidentali si spegneranno − e accadrà, perché ci si indirizzerà verso una nuova crisi, che si tratti di Covid o di un campionato di calcio − saranno liberi di rivelarsi per quello che sono. Un detto afghano dice: «Puoi anche cambiare la sella di un asino, ma resta sempre un asino […]». Da queste considerazioni nasce la mobilitazione a favore delle donne afghane.

«E con l’associazione NoveOnlus che abbiamo imparato a voler bene, proprio in Afghanistan, durante vari reportage e insieme a molte altre organizzazioni e persone che si sono date molto da fare, stiamo cercando di far uscire da paese operatrici umanitarie, attiviste, donne in pericolo di vita. Sono ore difficili per chi rischia, e anche per noi che raccogliamo la loro paura e la loro sofferenza. Abbiamo pensato che internet e i social, tante volte deleteri, altre volte possono essere, invece, utili. A non farle sentire sole, per esempio, mentre si cerca di aiutarne molte ma purtroppo non tutte». Possiamo continuare a tenere alta l’attenzione, affermano i promotori dell’iniziativa: «lanciando l’hashtag #saveafghanwomen e chiediamo a tutti di aiutarci a renderlo virale. Uomini e donne, giovani e adulti. Molti chiedono cosa fare: proviamo a fare la differenza. Facciamoci sentire: per loro e perché è la cosa giusta. È un gesto piccolo, ma il ripetersi di una goccia che cade può essere molto fastidioso».