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La varietà spirituale del mondo evangelico

Domenica 22 agosto alle 10 si terrà nel tempio valdese di Torre Pellice il culto di apertura della Sessione sinodale, organizzata quest’anno in forma ridotta in quanto a durata dei lavori (si concluderanno il mercoledì anziché il venerdì) e in formula “mista” in quanto a partecipazione: Tavola valdese, Commissione d’esame e Commissioni amministrative in presenza; pastori e pastore, diaconi e diacone, deputati e deputate da posizione remota. Cionondimeno, il culto avrà il carattere solenne che contraddistingue ogni anno l’apertura dei lavori del più importante organo di governo della Chiesa.

Il culto sarà tenuto dal pastore Winfrid Pfannkuche, e al suo interno avrà luogo la consacrazione del candidato al ministero pastorale Gabriele Bertin e della diacona Monica Natali. È questo un momento importante: siamo ancora in un tempo di “deserto” a cui la Chiesa è costretta dalla pandemia tuttora in atto. Poter tenere la sessione sinodale, ancorché con qualche limitazione, è un bel segnale; e ancora più bello è che la Chiesa tutta possa accogliere fra i suoi ministri e ministre Gabriele e Monica. L’opera del Signore continua: non è il numero dei presenti al culto a essere determinante, ma il fatto che sia tutta l’assemblea (più o meno numericamente consistente) e rivolgere la propria gratitudine a Dio e il proprio segno di accoglienza ai due candidati. Vivisamente l’imposizione delle mani (non quindi un contatto) mostra tutta la sua forza evocativa.

Ieri abbiamo pubblicato la presentazione di Monica. Oggi è il turno, qui di seguito, di quella di Gabriele.

Mi chiamo Gabriele Bertin, 26 anni, cresciuto nella chiesa valdese di Angrogna. Ho sempre partecipato agli incontri per minori organizzati dall’animazione giovanile del Distretto, ai weekend di catecumeni e catecumene, ai campi cadetti e cadette di Agape e ai campi estivi alla Cà d’la Pais. Lì ho imparato il valore della socialità, della condivisione, e a trovare anche le parole per parlare della mia fede. Quando nel 2011 ho ricevuto il battesimo nella chiesa che mi aveva visto crescere, ho sentito un interesse per ciò che la chiesa offriva come spazio dove impegnarsi: la varietà dei gruppi e delle storie, la creatività del lavorare con persone diverse, la potenza e la dolcezza della predicazione e del culto, la cura e l’accompagnamento spirituale. Era però il timore di lasciare quel porto sicuro che mi frenava dall’intraprendere gli studi in teologia.

Tuttavia, con timori, certezze e curiosità mi iscrissi alla Facoltà di teologia di Roma nel settembre 2013. E lì ho incontrato la varietà spirituale del nostro mondo evangelico, nelle chiese di diverse denominazioni. Ed è in Facoltà che ho conosciuto la Federazione giovanile evangelica in Italia (Fgei), fondamentale per la mia crescita spirituale e identitaria. Uno spazio composto da giovani di diverse età, denominazioni, sensibilità spirituali e percorsi. Una varietà, legata da un percorso comune nel quale potevi trovare il tuo giusto spazio. Gli incontri locali e nazionali, mi hanno fatto riflettere su di me, sulla mia identità, sul mio agire, e anche sulla fede come strumento per interrogare e abitare l’oggi.

Studiando a Roma ho scoperto l’aspetto trasformatore della Parola e della teologia. In particolare grazie al confronto con le teologie femministe, della liberazione e Lgbtq, che mi hanno rivelato l’importanza del soggetto nella sua totalità, che sperimenta quella libertà radicale che viene dall’incontro con Dio. Ho potuto proseguire questi miei interessi, in particolare per le teologie di genere e per l’Antico Testamento, nel corso dell’anno all’estero presso l’Institut protestant de théologie di Parigi, dove ho incontrato la realtà di una chiesa sorella, minoritaria, ma estremamente dinamica teologicamente, pastoralmente e liturgicamente.

Già dai primi anni a Roma, ho capito che per me il centro del ministero è nelle relazioni che si intrecciano, nelle quali prende dimensione anche l’annuncio di quella Parola che si spezza con fratelli e sorelle, che si trasforma in azione, in ascolto, in preghiera. La chiesa è uno spazio di testimonianza creativa collettiva, e il ministero è parte di questo processo che nasce dall’incontro e dall’ascolto di ciò che ci circonda, dell’alterità, aprendosi al soffio dello Spirito. Nel lavoro con i più piccoli ho riscoperto la possibilità di inventare sempre e di nuovo le cose, attraverso l’uso di simboli e un linguaggio nuovo. Nei diciotto mesi di prova, anche per la pandemia, ho compreso l’importanza di riconoscersi parte di una rete ampia, viva che cresce mettendo assieme le risorse, le idee, gli stimoli, per riscoprirsi parti variegate di un unico corpo.