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La musica nei lager

Il maestro Francesco Lotoro da oltre 30 anni ha dedicato la sua vita ad una missione. A partire dal 1989 ha intrapreso un progetto di archiviazione, esecuzione, registrazione discografica e promozione dell’intera produzione musicale nei Campi di prigionia, internamento, transito, concentramento, sterminio, lavori forzati, Gulag aperti dal 1933 al 1953 in ogni angolo del pianeta. Musica creata da musicisti uccisi o sopravvissuti provenienti da qualsiasi contesto nazionale, sociale e religioso e che subirono discriminazioni, persecuzioni, ingiusta detenzione o deportazione.

È lui, dal sito dell’Unione delle comunità ebraiche italiane Moked, a tracciare un ricordo della musicista Esther Bejarano, morta in queste ore a 96 anni. Qui di seguito la sua vicenda di vita legata alla sopravvivenza nei lager.

«Nelle scorse ore, presso l’ospedale israelitico di Amburgo, è venuta a mancare Esther Bejarano, musicista ebrea tedesca 96enne sopravvissuta ad Auschwitz e Ravensbrück.
Nata Esther Loewy il 15 dicembre 1924 a Saarbrucken, fu arrestata a 15 anni mentre fuggiva verso la Palestina mandataria britannica; trasferita presso il campo di lavori forzati di Neuendorf e nell’aprile 1943 deportata ad Auschwitz-Birkenau, entrò come fisarmonicista nell’orchestra femminile diretta da Alma Rosè; successivamente trasferita a Ravensbrück, riuscì a fuggire nel marzo 1945.
Dopo la guerra risiedette ad Amburgo e continuò a fare musica, nel 1980 fondò con i figli Edna e Joram l’ensemble Coincidence, ancora 90enne si imbarcava in lunghe tournée tra Israele, Turchia, Italia e Grecia, scrisse libri e tenne conferenze; a Berlino ricordano alcuni suoi passionali interventi pubblici contro la rinascita di movimenti politici di ispirazione neonazista.
Nel 2013 incontrai Esther nella sua casa di Amburgo, era una donna minuta e sorridente; dopo esserci scambiati gli auguri in ebraico (erano i giorni di chol hamoed di Sukkoth), Esther mi raccontò i suoi giorni nel Block dell’orchestra femminile di Birkenau.
“La sorvegliante polacca Szofia Tschaikowska mi chiese che strumento suonassi; le dissi che ero pianista ma lei mi rispose che non c’era un pianoforte nel Block e mi offrì di suonare la fisarmonica; non avevo mai suonato la fisarmonica ma accettai subito l’offerta, era l’unica possibilità che avevo di smettere di trasportare massi.
La Tschaikowska mi chiese di suonare Du hast Glück bei den Frau’n, Bel Ami. Conoscevo la canzone, le chiesi pochi minuti di pazienza, il tempo di riscaldare lo strumento e familiarizzare con i bottoni degli accordi alla mano sinistra. Accadde un miracolo, suonai senza esitazione con l’accompagnamento dei bottoni e fui accettata nell’orchestra”.
“Suonavamo tutta la giornata brani classici e canzoni d’operetta o canti popolari tedeschi, le partiture e le parti staccate ce le prestavano i musicisti dell’orchestra maschile di Birkenau che si trovava dall’altra parte del Lager; eravamo una decina di violiniste, mandoliniste e chitarriste, flautiste, una violoncellista, cantanti e copiste. Il nostro compito principale era di stare al cancello del Lager e suonare quando i deportati uscivano per recarsi ai lavori forzati nei Kommando e quando rientravano; con la musica dovevamo dargli la cadenza della marcia”.
“Un giorno le SS ci ordinarono di suonare sulla banchina ferroviaria all’arrivo dei treni carichi di ebrei provenienti da tutta Europa; alcuni di quelli che arrivavano, sentendoci suonare canzoncine e dolci melodie, ci salutavano con la mano, sicuramente avranno pensato che se a Birkenau si faceva musica non doveva essere un brutto luogo come sembrava.
Ma era una tattica per condurre i nuovi arrivati alle camere a gas togliendogli ogni possibilità psicologica di reagire e persino di combattere per difendere la propria vita. Noi dell’orchestra sapevamo benissimo dove erano condotti, suonavamo con le lacrime agli occhi e non c’era nulla che potessimo fare per aiutarli, anche perché dietro di noi c’erano sorveglianti e soldati con i fucili”.
Annotai e registrai ogni parola della Bejarano che in quasi due ore citò aneddoti e raccontò dettagliatamente le sue giornate a Birkenau, la sua paura di morire, il terrore di essere scelta alle selezioni quotidiane, il pensiero che suonare nell’orchestra le avrebbe forse assicurato razioni di cibo in più ma non la vita, completamente in balia dell’ufficiale SS di turno.
Alla fine cercai di strappargli una melodia, una canzone che potesse ancora ricordare a memoria, un inedito da inserire nella mia ricerca musicale concentrazionaria ma scoprii molta resistenza in Esther che scrollava di continuo il capo come se non volesse ricordare più nulla di quei giorni; realizzai che la musica da lei suonata in quei frangenti non figurava tra i suoi più bei ricordi.
Mentre stavo ormai rinunciando all’impresa le feci dono di una mia raccolta di musiche e a quel punto successe che riuscii a farla nuovamente sorridere; Esther si sciolse e a quel punto gli tornò in mente una sua melodia, Wir leben trotzdem che significa Noi viviamo ancora.
Sembrava un grido di vittoria; non ricordava dove gli nacque la melodia, a Birkenau o Ravensbrück ma poco importava; era quello che desideravo ossia che Esther tornasse a far vivere la sua musica, da una sinfonia a una semplice canzoncina.
Buon viaggio, Esther; come te, “Noi viviamo ancora” per suonare la tua musica».

 

Nella foto Bejarano e Lotoro