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Crocifisso in aula, a breve la sentenza della Cassazione

Crocifisso sì o no nelle aule scolastiche. Poi ancora: il diritto del docente di essere rispettato e il diritto degli alunni favorevoli all’ostensione del simbolo cattolico a vederlo esposto in aula. Questo il “cuore” della questione sulla quale – ricorda il sito del Sole24ore-  si sta interrogando la Cassazione che ieri 6 luglio ha discusso la questione in camera di consiglio davanti alle Sezioni Unite.

Per il verdetto sarà necessario almeno un mese, insieme al deposito delle motivazioni.

Franco Coppoli, questo il nome dell’insegnante, aveva fatto ricorso contro la sentenza della Corte d’appello di Perugia che aveva confermato la liceità della sospensione di trenta giorni subita oramai nel 2009 e poi reiterata nel 2015 per aver, a inizio delle sue lezioni, rimosso il crocifisso dalla parete dell’aula, per poi ricollocarlo al proprio posto una volta terminata l’ora.

La sospensione era stata stabilita dopo che la preside dell’istituto scolastico aveva imposto al professore di attenersi a quanto stabilito a maggioranza dall’assemblea degli studenti, non contrari alla presenza in aula del crocifisso.

Secondo i giudici d’appello, l’esposizione del crocifisso «non aveva limitato la libertà di insegnamento» e «non è lesiva di diritti inviolabili della persona, né è, di per sé sola, fonte di discriminazione tra individui di fede cristiana e soggetti appartenenti ad altre confessioni religiose».

Nell’ordinanza di rimessione alle Sezioni Unite, i giudici della sezione lavoro della Cassazione osservano invece che le tematiche sollevate dall’insegnante nel suo ricorso siano «di particolare importanza», in ragione «dei diritti che vengono in rilievo». «Ci si può chiedere se, a fronte della volontà manifestata dalla maggioranza degli alunni e dell’opposta esigenza resa esplicita dal docente, l’esposizione del simbolo – si interrogano i giudici – non si potesse realizzare una mediazione fra le libertà in conflitto, consentendo, in nome del pluralismo, proprio quella condotta di rimozione momentanea del simbolo della cui legittimità qui si discute». Ad ogni modo i giudici di Cassazione ricordano che «l’esposizione del crocifisso nelle aule scolastiche non è imposta da disposizioni di legge ma solo da regolamenti, risalenti nel tempo, applicabili alle scuole medie inferiori».

Di fatto viene ripresa la precedente ordinanza di remissione, sentenza 19618 del 18 settembre 2020 dove la Cassazione scriveva, «Ci si può chiedere se, a fronte della volontà manifestata dalla maggioranza degli alunni e dell’opposta esigenza resa esplicita dal docente, l’esposizione del simbolo fosse comunque necessaria o se non si potesse realizzare una mediazione fra le libertà in conflitto, consentendo, in nome del pluralismo, proprio quella condotta di rimozione momentanea del simbolo della cui legittimità qui si discute, posta in essere dal ricorrente sull’assunto che la stessa costituisse un legittimo esercizio del potere di autotutela».

Risultato di un regio decreto del Regno di Piemonte-Sardegna del 1860, la presenza del crocifisso nelle scuole italiane – e in alcuni luoghi pubblici come ospedali o questure – è un punto di tensione ricorrente nella laicità “all’italiana”.

«Il crocifisso ha una funzione simbolica e altamente educativa», dichiarava monsignor Stefano Russo, già segretario generale della Cei, la Conferenza episcopale italiana. «Il crocifisso incarna il peso della religione cattolica e i privilegi di cui gode nel nostro Paese», giudica invece Roberto Grendene, segretario dell’Uaar, Unione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti.

La Costituzione italiana dichiara la Chiesa e lo Stato indipendenti e sovrani.

Fino al 1984 e alla revisione degli Accordi Lateranensi del 1929 da parte del primo ministro Bettino Craxi, il cattolicesimo era la religione di Stato. «Una serie di ragioni storiche spiegano la nostra diversa concezione della laicità», afferma Marilisa D’Amico, docente di diritto costituzionale all’Università degli Studi di Milano, al sito francese La-Croix. «In Francia è negativo, da noi positivo: la religione può entrare nello spazio pubblico. È vista come una conferma del secolarismo e della tolleranza religiosa».

I rapporti dello Stato con le confessioni diverse dal cattolicesimo sono fissati da accordi con i rispettivi rappresentanti. La chiesa valdese lo ha siglato nel 1984, la comunità ebraica nel 1987, buddisti e indù nel 2007 e via dicendo.

Un crocifisso davanti alla giustizia

2005. Una madre atea chiede la rimozione del crocifisso dalla scuola pubblica dove vengono educati i suoi due figli. Per il Tribunale Amministrativo del Veneto e poi per il Consiglio di Stato, questa presenza non contravviene al principio di laicità: il crocifisso rappresenta un segno dell’idea italiana di laicità.

2009. Il caso viene portato dinanzi alla Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU). L’Italia è condannata per aver «limitato il diritto dei genitori di educare i propri figli secondo le proprie convinzioni, nonché il diritto degli scolari di credere o non credere».

2011. Il governo italiano chiede il rinvio del caso alla Camera della CEDU. La sentenza del 2009 è stata ribaltata con 15 voti contro due. Il crocifisso può restare: è considerato un simbolo passivo e non un tentativo di indottrinamento da parte dello Stato.