istock-897969060

Il Giudizio Universale contro lo stato italiano

Il 5 giugno è stata depositata al tribunale civile di Roma una causa contro lo Stato italiano. A presentarla sono stati 203 tra cittadini, associazioni, comitati e realtà sociali nell’ambito dell’iniziativa Giudizio Universale, lanciata dall’associazione A Sud nel 2019 con questo preciso obiettivo: sottoporre ad un tribunale le mancanze dello Stato nella lotta al cambiamento climatico, seguendo un filone di attivismo che negli ultimi anni ha portato ad alcuni importanti risultati all’estero.

Il primo caso a fare notizia, ha raccontato ai microfoni di Radio Beckwith Marica Di Pierri, portavoce di A Sud, è stato quello presentato da Urgenda Foundation contro il governo dei Paesi Bassi: dopo un lungo percorso legale, nel 2019 una sentenza condannò definitivamente il governo olandese a ridurre entro la fine del 2020 le emissioni del 25% rispetto ai livelli del 1990. In seguito, procedimenti simili sono stati portati avanti in paesi come Francia e Germania, mentre solo pochi giorni fa un tribunale belga ha stabilito che il fallimento dello stato nel raggiungere gli obiettivi ambientali rappresenta una violazione dei diritti umani. Questo sentimento è sempre più diffuso, assieme alla volontà dei giudici di deliberare in questo senso, tanto che le vie legali sono ormai parte integrante dell’attivismo climatico.

Lo scopo ultimo di Giudizio Universale, racconta ancora Di Pierri, è di far sì che un giudice affermi che lo stato non sta facendo abbastanza contro il cambiamento climatico, che i suoi impegni non sono sufficienti, e quindi condannarlo a triplicare gli sforzi attuali entro il 2030. Al momento si attende la convocazione della prima udienza, attesa per il prossimo novembre.

Di Pierri ha poi sottolineato poi la variegata composizione di chi ha preso parte a Giudizio Universale. Dei 203 “attori” partecipanti, 24 sono associazioni, legate per lo più all’ambientalismo. Gli altri sono singoli cittadini, tra i quali spicca il climatologo Luca Mercalli, vari attivisti di Fridays For Future, l’Isde (Associazione Medici per l’Ambiente), scienziati, studenti, insegnanti, avvocati e 17 minori; elemento, quest’ultimo, considerato fondamentale, perché i diritti umani violati dall’inazione contro la crisi climatica sono soprattutto quelli delle generazioni future.

L’arrivo in tribunale, specifica ancora Di Pierri, non significa la fine del lavoro attorno all’iniziativa. Gli attivisti si stanno ora impegnando a raccogliere un ampio consenso sociale intorno alla causa, ad esempio raccogliendo firme per accompagnare il suo percorso o realizzando un libro che racconta il progetto. A prescindere dall’esito, questo caso si protrarrà probabilmente per alcuni anni, proprio in un momento storico in cui tergiversare su questo tema rischia di lasciare segni indelebili sul futuro climatico del clima. Per questo, l’obiettivo degli attivisti è di tenere alte l’attenzione e la pressione.