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La Svizzera dice no a più controlli su CO2 e pesticidi

Domenica 13 giugno erano ben 5 i quesiti referendari sui quali erano chiamati a esprimersi i cittadini elvetici. Tre in particolare riguardavano il futuro ambientale della nazione e gli esiti hanno lasciato molto amaro in bocca a chi si era speso per un futuro ancora più verde della Svizzera, chiese riformate in testa.

Due referendum riguardavano il divieto di utilizzo di pesticidi sintetici in agricoltura e la richiesta di abolizione dell’uso di antibiotici negli allevamenti. Entrambi hanno visto imporsi il no in maniera ampia (circa il 60%). Nel primo caso entro dieci anni sarebbe entrato in vigore un divieto totale dell’uso di diserbanti e pesticidi nei campi agricoli, pubblici e privati. Nel secondo caso si prevedeva la perdita di agevolazioni fiscali a quelle aziende che utilizzano antibiotici negli allevamenti.

I detrattori ritenevano troppo severe le eventuali nuove norme, paventando una crisi per il settore agricolo e l’obbligo quindi di importare prodotto dall’estero a costi più elevati.

Ma è il quesito sulla riduzione di emissioni a effetto serra che veniva considerato il più importante, anche nel senso di fornire una chiara visione politica a lungo periodo, basata su un reale rispetto ambientale. Ma anche in questo caso ha vinto il no, pur con un margine più risicato (51,59%). La richiesta era quella, sulla linea di quanto stabilito nella Cop21 di Parigi 2015, di dimezzare le emissioni di gas serra entro il 2030 rispetto al 1990. Per farlo si chiedeva di aumentare le tasse alle aziende che emettono molta CO2, nonché l’introduzione di una tassa sui biglietti aerei per i voli in partenza dalla Svizzera. Le tasse sarebbero state al 50% restituite alla popolazione e per il restante 50% sarebbero confluite in un apposito fondo sul clima per promuovere progetti virtuosi di tutela ambientale. Gli agricoltori avrebbero dovuto dotarsi quindi di mezzi meno inquinanti e ancora una volta i contrari hanno fatto leva sull’aumento economico medio della spesa per i cittadini e sull’impatto in fondo quasi nulla della nazione svizzera nell’inquinamento globale.

Come racconta il pastore e giornalista Paolo Tognina sul sito elvetico di informazione protestante Voce Evangelica «La paura ha vinto sulla protezione del clima».

«Il risultato lascia ovviamente sgomenti i sostenitori – scrive Tognina –  anche nelle fila della chiesa. “Devo confessare che sono un po’ perplesso”, dice Kurt Zaugg-Ott, direttore dell’ufficio oeku – chiese per l’ambiente, interpellato dall’agenzia ref.ch. A quanto pare, ha proseguito Zaugg, molte persone in Svizzera non sono ancora consapevoli delle conseguenze del cambiamento climatico. E dopo il voto di oggi, ci mancano le basi necessarie per fare effettivamente qualcosa al riguardo”.

È stata una campagna centrata sulla paura nei confronti delle possibili conseguenze finanziarie della legge.

“Il risultato della consultazione ci rattrista”, aggiunge Yvan Maillard Ardenti, responsabile del programma per la giustizia climatica dell’organismo protestante svizzero Pane per tutti. Come Zaugg-Ott, anche Maillard riconosce che la campagna dell’Unione Democratica di Centro e della lobby del petrolio è stata determinante per la vittoria del no, e parla anche di “false affermazioni” nella campagna referendaria.

Nonostante la sconfitta di domenica, Maillard Ardenti afferma che il fronte dei sostenitori della lotta contro il cambiamento climatico è determinato a proseguire la propria battaglia. L’Alleanza per il Clima, a cui aderisce anche Pane per tutti, sta elaborando un’iniziativa che intende mettere sotto pressione la piazza finanziaria elvetica richiamandola alle sue responsabilità nei confronti dell’ambiente e del clima».