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Importante documento della storia dei battisti

La commissione storica dell’Unione evangelica battista d’Italia (Ucebi) offre ai lettori e alle lettrici l’opera di William Carey, La conversione dei non credenti (ed. originale 1792) curata dal pastore Martin Ibarra Pérez e pubblicata per le edizioni Gbu (pp. 147, euro 14,00). L’opera segna l’inizio delle missioni estere delle chiese battiste («ogni battista è un missionario»), e quindi l’inizio del tempo fecondo dell’espansione del movimento battista nel mondo (India, Caraibi, Pacifico, Africa, America Latina e Europa continentale dove in quell’epoca non vi era una sola chiesa battista). Un contributo fondamentale perché il testo rappresenta la svolta missionaria è decisiva per la denominazione battista. Un secondo aspetto che la rende indispensabile oggi è la matrice dove il testo è nato: un gruppo di pastori dei “battisti particolari”, tra cui Andrew Fuller, John Sutclift e John Ryland, che contribuirono a modificare il rigido “ipercalvinismo” allora imperante tra i particolari per accogliere alcune delle istanze dei movimenti del risveglio tra i battisti inglesi.

La sua importanza come testo viene anche dalla sua condanna della pratica della schiavitù che Carey considerava “inumana e immorale”, e dalla sua proposta di boicottare le società (commerciali) che praticavano lo sfruttamento della manodopera con l’impiego anche del lavoro minorile. Significativo fu il boicottaggio allo zucchero importato dalle colonie dove si utilizzava come mano d’opera gli schiavi afroamericani (p. 132). Per questo ai missionari fu vietato dalla Società delle Indie Occidentali Britanniche l’approdo nelle colonie britanniche del Nord dell’India perché come “dissidenti”, si sospettava di loro come predicatori pericolosi antischiavisti e sostenitori dell’uguaglianza tra gli esseri umani. Per questo i missionari scelsero di andare nel territorio di Serampore, allora sotto giurisdizione danese.

Per conversione Carey non intendeva soltanto la cristianizzazione di popoli che ancora non avevano ricevuto il messaggio del Vangelo, ma anche l’emancipazione di quei popoli dall’oppressione coloniale. Infatti, le società che sfruttavano le colonie erano contrarie all’arrivo dei missionari che predicavano il Vangelo della libertà, soprattutto se questi non erano inviati dalle chiese di Stato. La «missione del Carey in India» rispondeva, secondo Ibarra, a questi criteri moderni di considerare la totalità della persona e delle sue circostanze storiche, sociali, politiche ed economiche del luogo dove hanno operato.

Carey e i suoi assistenti non si sono recati in India a salvare le anime dei pagani ma a integrarsi nella società complessa induista di Serampore, contribuendo alla crescita culturale, economica e umana dell’intera comunità. I missionari fondarono comunità eliminando il sistema delle caste. «Il battezzato, la battezzata, doveva rinunciare alla sua casta ed entrare in una comunità non solo religiosa, ma che ospitava e garantiva la sopravvivenza di chi, uscendo dal sistema delle caste, diventava praticamente un dalit, una persona senza casta e dunque senza posto né lavoro nella società indiana del tempo…». «La comunità di uguali condivideva i beni al modo evangelico del libro degli Atti e combatteva non la religione indù o musulmana né i loro praticanti, ma alcune delle pratiche più odiose del tempo…». In questo «Carey diventa un riformatore sociale non per scelta politica, ma per necessità di costruzione della comunità cristiana “ideale”» (p. 59).

Di queste odiose pratiche da combattere ricordiamo il matrimonio forzato delle bambine con uomini anziani e la pratica del sati, ovvero l’immolazione delle vedove nella pira dove venivano bruciati i cadaveri dei mariti. La svolta missionaria del ’700 fu la premessa dell’espansione del battismo come denominazione globale. Nel 1792, Carey insieme con Andrew Fuller fonda quella che oggi conosciamo come la Baptist Missionary Society (Bms) di cui Fuller fu il primo presidente. Il comitato della Società, radunato il 9 gennaio 1793, decise di inviare Carey e il medico John Thomas come missionari in India. I due giunsero in Bengala quasi un anno dopo, il 10 novembre 1793. L’opera missionaria di Carey e dei suoi collaboratori si svolse interamente nel territorio di Serampore. Qui venne fondata una comunità cristiana evangelica e battista «che servì poi come modello per altre centinaia di chiese che ora riempiono intere regioni della zona nordorientale indiana» (p. 59).