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La squadra olimpica dei rifugiati è pronta

Ha perso l’opportunità di gareggiare a due Giochi Olimpici ma ora il canoista iraniano Saeid Fazloula è più vicino che mai a competere nel più grande evento sportivo del mondo. È stato infatti selezionato per la squadra di rifugiati per le imminenti Olimpiadi estive di Tokyo.

La sua storia è stata raccontata dal giornalista Benjamin Bathke della testata tedesca Deutsche Welle.

In una giornata di pioggia, i porti del Reno a Karlsruhe con i loro vecchi silos e gru non sembrano proprio attraenti. Ma uno dei bacini artificiali è anche un luogo dove si forgiano carriere sportive: le navi portacontainer condividono il molo lungo 700 metri con i canoisti del club Rheinbrüder, uno dei centri di formazione federali della Germania.

Saeid Fazloula ha appena terminato il suo secondo allenamento della giornata. Solleva la sua canoa di carbonio fuori dall’acqua, la carica in spalla e la riporta in garage, dove la pulisce. La canoa sfoggia un’aquila nera e oro a prua e i colori della bandiera tedesca.

Ma non si tratta di un atleta tedesco bensì iraniano: uno dei 62 atleti rifugiati che si allenano nella speranza di competere ai Giochi Olimpici e Paralimpici di Tokyo.

Temendo le repressioni del governo, Fazloula è fuggito dal suo nativo Iran nel 2015 ed è finito in Germania, dove ha ricevuto lo status di rifugiato. Ma non è stato l’unico ostacolo che ha dovuto superare.

Un mix di sollevamento pesi, corsa, pagaiata e nuoto costituisce il regime di allenamento di Fazloula e quello degli altri dieci canoisti con cui si allena più volte al giorno, sei giorni alla settimana.

Cresciuto vicino al Mar Caspio, Fazloula era un celebre canoista prima di fuggire, con uno status sociale di tutto rispetto.

Fazloula ha vinto l’argento per la squadra nazionale del suo paese d’origine ai Giochi asiatici del 2014. Un anno dopo, ha violato le regole del regime quando si è scattato un selfie davanti al famoso Duomo di Milano dopo aver gareggiato ai mondiali. Quella foto fece sì che il regime lo accusasse di essersi convertito al cristianesimo; all’arrivo a Teheran, è stato detenuto per due giorni e minacciato di pena di morte.

Da qui la decisione immediata di lasciare il paese: prima a piedi attraverso il confine con la Turchia, poi verso l’isola greca di Lesbo e poi verso la Serbia lungo la rotta balcanica fino a Karlsruhe. Dopo aver imparato rapidamente il tedesco e essersi adattato alle nuove tecniche di allenamento, l’etica del lavoro e la tenacia di Fazloula hanno presto sorpreso l’intero team.

Dopo non essere riuscito a qualificarsi per le Olimpiadi di Londra 2012 con la squadra nazionale iraniana, Fazloula è entrato nella lista dei candidati della neonata squadra di rifugiati di Rio quattro anni dopo, ma non è stato poi fra i dieci prescelti finali.

Nel 2015, il Comitato Olimpico Internazionale (Cio) ha annunciato la creazione di una squadra di rifugiati per le Olimpiadi di Rio. Quell’anno più di un milione di rifugiati sono entrati in Europa dopo essere fuggiti dalle guerre in Medio Oriente, Africa e Asia centrale. Gareggiando in atletica, nuoto e judo, la squadra è stata una delle storie positive di quei Giochi.

Quasi cinque anni dopo, tutti e dieci gli atleti rifugiati del 2016 sono tra i prospetti che competono per 29 ambiti posti nella squadra olimpica dei rifugiati a Tokyo. I 56 candidati rappresentano una dozzina di sport, provengono da 13 paesi e vivono e si allenano in 21 paesi, tra cui Australia, Giordania, Israele, Kenya, Canada e Brasile. Quasi la metà ha sede in Europa, otto di questi in Germania. La squadra definitiva è stata annunciata l’8 giugno. Saeid Fazloula è fra i selezionati.

I membri del team sono selezionati «prima di tutto in base alle prestazioni sportive di ciascun atleta e al loro status di rifugiato, come richiesto dall’UNHCR, l’Alto commissariato Onu per i rifugiati», ha detto al sito tedesco DW la portavoce del Cio Anne-Sophie Thilo.

 Oltre a uno stipendio mensile di 1.500 dollari pagato da gennaio fino alla fine delle Olimpiadi all’inizio di agosto, ogni borsista può beneficiare di un aiuto per la transizione a una carriera post-sportiva e alla formazione sui media, tra le altre cose.

Gli atleti hanno anche lo status di “rifugiato delle Nazioni Unite” mentre vivono in vari paesi ospitanti; si sono allenati negli ultimi anni con il supporto di Olympic Solidarity, il fondo Cio per gli interventi sociali.

Nella cerimonia inaugurale entreranno allo stadio in seconda posizione, sventolando la bandiera olimpica immediatamente dietro la Grecia che la tradizione vuole apripista

Thomas Bach, presidente del Comitato olimpico internazionale ha affermato che «Questo team sarà un simbolo di speranza per tutti i rifugiati del mondo e renderà il mondo più consapevole sull’entità di questa crisi umanitaria. È anche un segnale per la comunità internazionale: i rifugiati sono una ricchezza per la società. Questi atleti mostreranno al mondo che, nonostante le inimmaginabili tragedie che hanno dovuto affrontare, possono contribuire alla società attraverso il proprio talento, capacità e forza di spirito».

Qui sono visibili gli atleti e le atleti e le loro rispettive storie.

 

Foto da sito Olympics