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Manifestazione il 4 giugno a Torino per denunciare la morte di Moussa Balde nel Cpr

La morte di Moussa Baldi nel Cpr, il Centro per il rimpatrio di Torino, è l’ennesima ferita che certifica ancora una volta il fallimento delle politiche migratorie e di accoglienza, italiane ed europee. Nel nostro paese da oltre 4 anni, fuggito giovanissimo dalla Guinea, non aveva mai ottenuto permesso di soggiorno o era rientrato in qualche progetto di integrazione, se non nella fase iniziale della sua esperienza fra i nostri confini.

Era arrivato con un barcone nel 2017 e aveva subito presentato la domanda di asilo politico ad Imperia ed era ancora in attesa della convocazione do ina commissione territoriale che doveva valutare il suo caso.

Un tempo assurdamente lungo, un limbo senza uscita. Baldi aveva imparato l’italiano in pochi mesi e aveva raggiunto il diploma di terza media al centro di formazione territoriale per adulti di Imperia. Poi ancora il vuoto. Aveva anche tentato il passaggio in Francia, dalla frontiera di Ventimiglia, cittadina in cui ha vissuto negli ultimi periodi, ma era stato respinto dalla polizia francese. Avrebbe tentato ancora nella speranza di proseguire il proprio personale progetto di vita. Ma è stato pestato barbaramente da tre italiani all’uscita di un supermercato, come si vede fin troppo bene in un video girato da un cittadino.

Per lui dopo le cure in ospedale è giunto il trasferimento al Cpr di Torino, senza spiegazioni, un carcere da cui sarebbe uscito solo per vedersi rispedire in Africa. La disperazione lo ha portato ha impiccarsi. I suoi aggressori sono indgati a piede libero.

Lo Stato italiano e quello guineiano lo hanno abbandonato anche da morto, e sono ancora una volta le associazioni, la cosiddetta società civile, che con una raccolta fondi si farà carico del rimpatrio della salma da consegnare a genitori e parenti.

A più di venti anni dalla loro introduzione, i Centri di detenzione amministrativa rimangono «luoghi “non pensati” […]» ove «la permanenza in essi segue le sorti di un “effetto collaterale”, che si vorrebbe evitare e che è sostanzialmente sottovalutato» scrive nella sua relazione annuale il Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale.

Che prosegue: «si tratta, nella gran parte, di strutture dall’architettura rudimentale, simili a contenitori senza attenzione ad ambienti di socialità, spazi per attività anche fisica, luoghi di culto, locali per iniziative formative e culturali, che peraltro attenuerebbero le tensioni. Inoltre, i più basilari elementi di arredo, incluse le porte dei bagni, sono, nella quasi totalità dei casi, assenti. Come se l’individuo smettesse di essere persona con una propria totalità umana da preservare nella sua intrinseca dignità, dimensione sociale, culturale relazionale e religiosa per essere ridotta esclusivamente a corpo da trattenere e confinare».

E ancora: «Il vuoto materiale degli ambienti trova una simmetria nel tempo deprivato di qualsiasi opportunità di impiego o di autodeterminazione anche relativamente a piccole scelte di vita quotidiana, come quella di leggere un libro, scrivere, svolgere un’attività sportiva».

Ambienti senza finestre, degradati, nessuno spazio di socialità. I Cpr sono gabbie di contenzione i cui reclusi non hanno più alcun riferimento né intravedono soluzioni positive.

La riduzione, se non il superamento, del trattenimento in questi “involucri vuoti”, come li ha definiti il Garante è ormai improcrastinabile – scrive Gennaro Santoro sul sito Open MIgration. Il fallimento, in termini di efficienza e, ancor prima, in termini di rispetto dei diritti umani è ormai sotto gli occhi di tutti e non ha senso continuare a nascondere la polvere sotto il tappeto». 

Sono questi una parte della lunga lista di motivi che ha portato una serie di associazioni giuridiche, fra esse Asgi, Antigone, l’Unione delle camere penali italiane a indire una manifestazione di protesta venerdì 4 giugno davanti alla prefettura di Torino in piazza Castello a partire dalle ore 16 per denunciare l’inumanità e la illegittimità di simili luoghi, sovraffolati, con servizi igienici inadeguati, senza mediatori culturali, senza possibilità di incontrare familiari o conoscenti, senza neppure la possibilità di utilizzo dei propri telefoni cellulari. Come le celle dei criminali insomma, dimenticando che qui si sta di fronte a soggetti che hanno il solo torto di non avere i corretti documenti di soggiorno.

Qui il testo intero della lettera e la mail giustiziapermoussa@gmail.com per manifestare le adesioni di associazioni e singoli.

Sono molte le adesioni che stanno giungendo in queste ore alla manifestazione di sabato, fra queste quella della Cgil di Torino, del Gruppo Abele, del centro studi Sereno Regis, della locale Chiesa valdese, della Rete Comuni solidali, di Carovane Migranti e di moltissime altre associazioni fra cui Articolo 21 nella sua sessione piemontese.

Per contribuire alla raccolta fondi per il rimpatrio della salma di Moussa Balde questi sono gli estremi bancari:
Rete Comuni Solidali /Banca Etica IBAN: IT49G0501801000000011795150, causale: per Moussa