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L’Africa in ombra

Il 25 maggio è stato il giorno dedicato all’Africa, giorno in cui un anno fa un uomo di origini afro-americane, George Floyd, negli Usa, moriva per mano di un poliziotto bianco.

E proprio due giorni fa è stata presentata la seconda edizione del Rapporto Africa Mediata, realizzato da Amref Health Italia in collaborazione con Osservatorio di Pavia.

Il primo dato che emerge dal rapporto è la drastica riduzione, nell’informazione tradizionale della stampa, dei notiziari e dei programmi dell’informazione, dedicata all’Africa.

L’analisi di sei quotidiani nazionali – nel periodo 1° luglio 2019/28 febbraio 2021 – rileva che la media mensile di notizie in prima pagina dedicate all’Africa per testata è pari a 10. Una media inferiore del 55% rispetto alla rilevazione 2019. Sul versante «Africa qui» – le notizie relative all’Africa e ai suoi protagonisti nel contesto italiano – spicca una drastica diminuzione del tema immigrazione nel corso del 2020, sopraffatto dai temi sanitari. Per «Africa là» il tema Guerra e terrorismo è al primo posto col 34,4%, mentre il Covid all’1,7%.

Nei notiziari del prime time – nello stesso periodo – vi è l’1,6% di notizie a tema Africa. I due picchi di attenzione sono tra dicembre e gennaio 2019, con la crisi libica e a febbraio 2021, con l’uccisione dell’ambasciatore italiano nella Repubblica Democratica del Congo, del carabiniere e dell’autista che viaggiavano con lui. Temi prevalenti riguardanti i Paesi africani sono: guerra/terrorismo (32,9%); politica (28,7%); migrazione (12%). Chiudono sport (2,1%) e cultura (1,3%).

Nei programmi di informazione e di infotainment – analizzati 91 programmi di sette reti generaliste, nel periodo 1° gennaio/31 dicembre 2020 – sono state 3217 le citazioni all’Africa e agli africani. Di queste solo 1/3 (1.049) erano riferimenti specifici a quella che il report definisce «Africa là»; quindi un riferimento ogni 58 ore di programmazione. La pandemia di Covid-19 ha raccolto il 13% dei riferimenti all’Africa.

Nell’anno dell’emergenza sanitaria del Covid-19 e delle sue drammatiche conseguenze, l’Africa raccontata dall’informazione dei media tradizionali sembra in una – pressoché eterna – transizione tra resoconti emergenziali, reportage su sequestri e conflitti, cronache di arrivi e di flussi migratori verso l’Europa. Le voci di africani e di afro-discendenti sono ancora sporadiche: presenti in 8 servizi su 10, spesso in veste di testimoni o bersagli di aggressioni razziste, molto poco in quella di esperti o giornalisti.

Non sembra ancora intravedersi l’approdo a una rappresentazione della «quotidianità», della normalità delle attività imprenditoriali, sociali e culturali. Un approdo che richiede il dialogo con voci africane e afro-discendenti in grado di raccontare la complessità di alcuni contesti e di alcuni eventi.

Un approdo che è, invece, già presente nei prodotti di intrattenimento – fiction e lungometraggi – capace di sfidare alcuni degli stereotipi ancora presenti nell’informazione. Un punto di arrivo che è già presente nell’immaginario dei giovani che mostrano curiosità proprio nei confronti della dimensione che ritrovano nei prodotti di audiovisivi d’intrattenimento online e sulle piattaforme, ma non nell’informazione.

Tra i 182 ragazzi e bambini incontrati durante i focus group, c’è la curiosità di scoprire cosa fanno i coetanei che vivono nei paesi africani: «Quali film guardano i ragazzi che vivono in Gambia?», «magari i ragazzi della Costa d’Avorio non hanno dispositivi elettronici, quindi come passano il tempo libero, a cosa giocano?»; «Cosa si cucina in Etiopia?»; «Come sono le città africane? E i palazzi?».

Colpisce, come ha osservato Walter Veltroni, il racconto quasi del tutto speculare dei bimbi africani verso quelli italiani e viceversa. Ci si immagina «qui» e «là» ad avere gli stessi desideri e a giocare agli stessi giochi. Una rappresentazione che si nutre di normalità, come ha ricordato Luca Milano (Direttore Rai Ragazzi), di un programma della Rai «Tre minuti…nelle scuole di tutto il mondo», dalla Norvegia alla Costa d’Avorio.

È una realtà che è fatta ancora di visioni poco melting pot e molto tradizionaliste: Haroun Fall, uno degli attori protagonisti della serie di successo «Zero» (ambientata con protagonisti afro-discendenti) ci racconta di essere il terzo nero diplomato presso il Centro Sperimentale di Cinematografia, fondato nel 1935.

Paola Barretta è la coordinatrice dell’Associazione Carta di Roma e dell’Osservatorio di Pavia; l’articolo è ripreso dal sito Articolo 21