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Morto di reclusione

Musa Balde, 23 anni, originario della Guinea, il 9 maggio è stato aggredito e picchiato con spranghe e bastoni da tre italiani a Ventimiglia. Musa aveva dichiarato di star chiedendo l’elemosina, mentre i tre hanno affermato che aveva tentato di rubare un telefonino, azione evidentemente a loro avviso meritevole di tale punizione. I tre si erano fermati solo perché distratti dalle urla di qualche cittadino, mentre un altro abitante di Ventimiglia filmava tutta la scena che poi è rimbalzata sui social. Immagini insopportabili: calci e pugni di violenza inaudita.

Gli inquirenti stanno indagando sull’accaduto, i tre sono stati denunciati per lesioni, a piede libero. Sono tranquillamente nelle proprie abitazioni ed è stato escluso nei loro confronti l’aggravante dell’odio razziale. A pagare è stato invece Musa: il garantismo del nostro paese vede bene i colori della pelle o le carte di identità di ognuno di noi.

Dopo l’aggressione Musa è stato portato in ospedale e ha ricevuto una prognosi di 10 giorni per lesioni e trauma facciale. Il giorno dopo è stato dimesso dall’ospedale ed è stato trasferito direttamente al Cpr (Centro per il rimpatrio) di Torino, dopo che a marzo aveva ricevuto un decreto d’espulsione, recluso in una sorta di isolamento ulteriore all’interno delle già strette mura del Cpr. Musa viveva in territorio italiano da circa 5 anni.

Sabato notte Musa si è tolto la vita nella camera del Cpr.

«Musa Balde aveva bisogno di supporto piscologico, soprattutto per la violenza che ha subito ma anche per la condizione di detenzione in cui si trovava e per l’imminente espulsione – sono le parole contenute in un comunicato dell’associazione “A buon diritto”-. Che prosegue così:

«Il suo avvocato, Gian Luca Vitale, ha dichiarato che non ha invece ricevuto un’adeguata assistenza psicologica nonostante fosse chiaramente molto provato.

A confermare la situazione di vulnerabilità di Musa è Monica Gallo, garante per i detenuti del Comune di Torino, che aveva sottoposto il caso al garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personali Mauro Palma.

Musa Balde era la parte offesa di un procedimento penale e il suo caso avrebbe dovuto ricevere la massima attenzione anche da parte della direzione del Cpr. Non sappiamo se così è stato.

Quello di cui siamo certi invece è che Musa ha subito un’enorme ingiustizia e in tutta risposta è stato chiuso in una struttura detentiva e privato della propria libertà quando avrebbe invece avuto bisogno di sostegno e ascolto.

Sappiamo anche che i Cpr sono luoghi dove spesso la dignità e i diritti delle persone trattenute non vengono rispettati, a causa di rilevanti insufficienze strutturali e modalità di trattenimento inadeguate. Che sono “non luoghi” precipitati in un “non tempo”, come li ha definiti qualche anno fa il nostro presidente Luigi Manconi, che a lungo si è speso per la loro chiusura.

E proprio insieme a lui, soprattutto dal 2013 al 2018 quando Manconi era presidente della Commissione diritti umani al Senato, abbiamo denunciato le condizioni di questi non luoghi. Come nell’indagine svolta dalla Commissione nel 2014 nei centri di identificazione ed espulsione di Bari, Roma, Gradisca d’Isonzo, Trapani e Torino, aggiornata nel 2017 e scaricabile qui: https://bit.ly/3oI9Do9.

La morte di Musa non è isolata. Negli ultimi due anni sono cinque le persone morte in modo sospetto nei Cpr italiani. E questo non è accettabile.

Chiediamo che si apra una seria riflessione sui luoghi di detenzione ed espulsione e sulla normativa italiana in materia, che ricorre ossessivamente al trattenimento e prevede una scarsissima se non inesistente applicazione di misure alternative, che andrebbero invece incentivate.

L’attuale disciplina ha dimostrato da tanto tempo ormai di essere dannosa, controproducente e inutile, oltreché lesiva dei diritti e della dignità delle persone. È arrivato il momento di cambiarla».

Oggi pomeriggio alle ore 18 si terrà una manifestazione di protesta contro i Cpr in corso Brunelleschi a Torino davanti al Cpr cittadino.

Oggi è il 25 maggio: un anno fa a Minneapolis moriva nei modi che sappiamo George Floyd. Ci siamo indignati, abbiamo spiegato la società razzista americana. Guardare in casa propria sarebbe la lezione migliore.