junge-doctorate

Una nuova Gerusalemme

 

Misericordia, ecumenismo, giustizia, diritti, futuro della chiesa, ambiente. Sono molti i temi toccati dal pastore Martin Junge, segretario della Federazione luterana mondiale (Lwf), nel discorso tenuto nella seconda giornata del Sinodo della Chiesa luterana in Italia (Celi), in corso fino a domani 1° maggio in forma virtuale, data l’emergenza pandemica.

Proprio da qui è partito Junge, ringraziando la Celi per aver scelto di «astenervi dall’incontrarvi di persona per responsabilità verso l’altro in generale e nello specifico verso i vostri concittadini. Purtroppo, nella prospettiva globale, continuo a vedere che le Chiese e le comunità di fede non rispettano i regolamenti perché pensano di essere particolarmente protette, o perché vogliono comunicare il loro riunirsi come testimonianza della loro fede. Una testimonianza contraddittoria. Perché le Chiese non devono essere conosciute per la diffusione del virus, ma per la diffusione della buona novella di Gesù Cristo. Questo, a sua volta, ci chiama a una responsabilità speciale nei confronti del nostro prossimo».

Il segretario dei luterani mondiali si è quindi concentrato sul tema scelto quale filo rosso di questa riunione sinodale: la misericordia, che è «l’antitesi dell’indifferenza. Mostra il cuore laddove la gente si tratta con insensibilità, trasmette calore dove le cose si raffreddano tra le persone, lascia spazio alla pietà in tempi di competizione spietata e di lotte rabbiose per la supremazia o per la sopravvivenza».

La domanda su quanto si sia capaci ancora di amare il prossimo non è solo un tema individuale per il pastore Junge, ma «soprattutto una questione che va affrontata dalle Chiese e che si collega alla considerazione di quale ruolo debba giocare la misericordia nella vita e nella testimonianza della Chiesa. Questa era la richiesta costante di Gesù di fronte alla violenza, all’esclusione e all’oppressione. Si è battuto per essa, e quindi davanti alla donna adultera, all’esattore delle tasse, ai bambini, alla donna straniera siro-fenicia ha sempre rivolto la domanda implicita o apertamente espressa: dov’è la misericordia? È questo che Dio vuole veramente?».

Misericordia che va a braccetto con la giustizia.

La Chiesa non è fine a se stessa, l’appartenenza alla Chiesa non si esaurisce nella soddisfazione dei propri bisogni. Essa dispiega la sua piena fioritura dove partecipa anche all’opera misericordiosa di Dio nel mondo. 

Da qui le parole di sincero apprezzamento da parte di Martin Junge per «il lavoro diaconale qui in Italia, compreso l’aiuto immediato e l’assistenza legale che fornite agli immigrati e alle “vittime dell’accordo di Dublino III”. Il vostro lavoro in loco è in meravigliosa armonia con il nostro lavoro globale. Fa male vedere oggi come gli atteggiamenti verso i rifugiati stiano cambiando in peggio, rispetto al periodo successivo alla Seconda guerra mondiale. L’idea, la visione e soprattutto il sistema di valori dell’Europa è sotto esame. Cose che fino ad ora erano date per scontate e non potevano essere messe in discussione vacillano, a volte in modo considerevole. Solidarietà, democrazia, stato di diritto, diritti umani, libertà di stampa… 

Negli ultimi anni alla gente è piaciuto sottolineare queste carenze in tutto il mondo, e ora improvvisamente sono diventati problemi interni. Forse è per questo che oggigiorno è sceso un così insopportabile silenzio sui diritti umani, cosa che ritengo sia uno sviluppo fatale. Li considero ancora la più importante conquista culturale e storica del secolo scorso. La loro assenza apre la porta all’arbitrio, alla violenza e al terrore, un incubo per tutti coloro che vivono vite stigmatizzate e oppresse, e in definitiva un incubo per tutti senza distinzione, come ha dimostrato la Seconda guerra mondiale, a cui abbiamo risposto con gli accordi sui diritti umani».

Un problema che per Junge riguarda da vicino anche le chiese: «C’è polarizzazione anche nella Chiesa. Anche nella Chiesa c’è incertezza, se non paura del futuro. Le nostre Chiese membro in Africa, per esempio, non solo vivono spiritualmente del culto domenicale, ma dipendono anche finanziariamente da esso. Le quote associative vengono pagate la domenica, durante il culto della domenica vengono fatte tre, a volte quattro collette. Con il lockdown tutto questo è scomparso. Anche nella Chiesa c’è populismo e trasfigurazione del passato, un crescente desiderio di semplificare le relazioni complesse, di dipingere in bianco o nero». 

I grandi cambiamenti imposti in questi anni non sono dalla pandemia, ma dal cambio delle modalità lavorative, dall’accelerazione tecnologica, dall’ampliamento del gap fra ricchi e poveri, dal crescere degli indigenti, per Junge specifica anche la direzione verso la quale «la Chiesa può orientarsi in questi tempi di sconvolgimenti: verso il futuro. Il futuro della Chiesa, non sta nel suo passato. La pretesa di voler essere Chiesa oggi nella forma in cui si era Chiesa ieri fallirà. Sarebbe anacronistico. Ecco perché la Bibbia parla di un nuovo cielo e di una nuova terra, non del vecchio cielo e della vecchia terra da restaurare. Di una nuova Gerusalemme, non quella irrimediabilmente perduta nel tumulto della storia».

 Vi sono anche nuove sfide da cogliere nell’oggi, e ne cita due il segretario della Lwf, la giustizia di genere e l’ecumenismo. Il primo è un tema “caldo” nelle chiese e «Viene discusso in parte anche in modo controverso, cosa a cui per il momento non c’è niente da obiettare. Le discussioni controverse, se condotte in maniera rispettosa e costruttiva, hanno un valore incommensurabile nel chiarire, precisare e sviluppare le idee. A volte, però, la giustizia di genere viene liquidata sommariamente come “ideologia”, più o meno come opera del diavolo, per così dire, che il mondo secolare vuole imporre alla Chiesa. L’unica cosa corretta di questa accusa è il fatto che il termine “genere” in realtà non ha avuto origine nella sfera ecclesiastica. Tutto il resto, però, non è vero. Perché la questione della giustizia di genere è profondamente radicata nel messaggio liberatorio di Gesù Cristo, ed è quindi una tematica rilevante e importante che la Chiesa deve affrontare in questo momento. Dio ci accetta e ci libera per vivere la nostra vita, non in base a ciò che facciamo o a chi siamo, ma in base a chi è Dio e a ciò che Dio fa per noi in Gesù Cristo.  Questo è il messaggio centrale della giustificazione per sola fede.

Junge trova quindi «Molto incoraggiante che vogliate affrontare la questione della giustizia di genere e che abbiate elaborato una presa di posizione su di essa. È particolarmente importante per me che venga nominata la base biblica e teologica da cui questo tema viene ripreso nell’area della Chiesa. Aspetterò con ansia i risultati dei vostri lavori».

Sull’ecumenismo parole che potrebbero essere uno slogan: «Il nostro lavoro teologico non dovrebbe mai esaurirsi nell’offrire spiegazioni del perché l’unità non è possibile. Il compito teologico, al contrario, è quello di esprimere questa unità già data tra noi in modo teologicamente responsabile». 

Infine un saluto alla piccola Chiesa luterana in Italia: «Non sono i numeri dei membri a fare grande una Chiesa, ma la sua vocazione a testimoniare l’opera riconciliatrice di Dio nel nostro mondo. Accettare la continuità, il cambiamento e il futuro come una sfida, e assumere la responsabilità della misericordia come sua missione». 

 
Photo: Martin Junge,  Waterloo Lutheran Seminary