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Ex Embraco: l’odissea dei lavoratori

Un altro primo maggio con pochi motivi per festeggiare quello dei 400 lavoratori ex Embraco, che ormai da tre anni si trovano appesi a un filo tra false illusioni e il pericolo reale di rimanere senza lavoro. Una vicenda che è diventata una vera e propria telenovela, tra colpi di scena e scenari in continua evoluzione, ma anche l’emblema dell’industria italiana, in mano alle speculazioni e gli interessi delle multinazionali.

Lo stabilimento di Riva di Chieri (To) era stato costruito negli anni Settanta da Fiat Aspera, la divisione di Fiat che produceva frigoriferi. Nel 1985 Fiat vendette il comparto Aspera a Whirpool, la principale multinazionale americana di elettrodomestici e alla fine degli anni 90 nello stabilimento lavoravano circa 2.500 persone. L’origine della crisi si ha nel 2000 quando Whirpool cede lo stabilimento alla controllata Embraco che, nel giro di qualche anno, riduce progressivamente la forza lavoro spostando parte della produzione in Slovacchia. Fino al gennaio 2018, quando i vertici della società brasiliana annunciano di voler spostare l’intera produzione in est europa, condannado al licenziamento i 537 lavoratori rimasti.

Ma nel luglio dello stesso il gruppo Ventures, società italo-israelo-cinese, decide di acquisire lo stabilimento per produrvi robot pulitori di pannelli fotovoltaici con l’intermediazione del ministero dello sviluppo economico. Sembra la fine dell’incubo, ma dopo mesi dall’acquisizione dello stabile di reindustrializzazione non c’è neanche l’ombra. L’epilogo, a quel punto scontato, è la dichirazione di fallimento di Ventures da parte del Tribunale di Torino e l’affidamento dello stabilimento all’attuale curatore  Maurizio Gili a un anno esatto dall’acquisizione che aveva alimentato tante speranze.

Speranze che tornano ad accendersi nel settembre del 2020, quando dal Mise arriva la proposta di formare un nuovo polo del compressore per frigorifero, chiamato Italcomp, impiegando gli impianti di Riva di Chieri e quello della Acc Wanbau di Belluno, anch’essa in procedura di fallimento. Si tratterebbe di un progetto a partecipazione per la maggior parte statale. Un progetto che piace anche ai sindacati, primo atto di una vera e propria politica industriale in Italia dopo molto tempo. Ma il percorso, anche questa volta, si incaglia sulla burocrazia e le istituzioni europee, che vedono con scetticismo l’operazione valutandola come aiuto di stato, chiedono tempo per deliberare.

Il resto è storia recente, con il Mise che si rifà vivo e in un tavolo convocato con i governatori di Piemonte e Veneto ribadisce l’intenzione di investire energìe e denaro in Italcomp e garantisce i sindacati circa la possibilità di prolungare la cassa integrazione Covid oltre il termine del 22 luglio. Ma, nel succcessivo incontro tra sindacati e curatore, quest’ultimo, in assenza di un documento che sancisca tale decisione, si dichiara impossibilitato a fare la richiesta di prolungamento. Scade così il termine fissato al 25 aprile, dopo il quale il curatore può iniziare a notificare ai lavoratori il licenziamento per cessata attività.

In attesa di una mossa dal ministero che sblocchi almeno la questione relativa agli ammortizzatori sociali, un nuovo ostacolo si frappone sulla strada della nascita di Italcomp:  proprio nei giorni scorsi il presidente e amministratore delegato di Nidec, azienda giapponese produttrice di componentistica elettrica, ha espresso l’interessamento della società all’acquisizione della Acc di Belluno, dichiarando al contempo di non essere intereressato al progetto Italcomp e, di conseguenza, allo stabilimento di Riva di Chieri. Dal canto loro, lavoratori e sindacati chiedono ora al Mise un’accelerata sul progetto Italcomp, sul quale, dicono, «Non c’è più tempo da perdere, entro la fine di maggio dev’essere creata la nuova società».