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Omotransfobia, una legge che non reprime la libertà d’espressione

Il disegno di legge Zan solleva un dilemma assai arduo che richiama una delle grandi questioni capaci di sottoporre a verifica la qualità delle democrazie contemporanee. Ovvero, il bilanciamento tra due (o più) diritti entrambi meritevoli di tutela, entrambi riconosciuti dalla nostra Carta Costituzionale, eppure capaci di una possibile tensione tra essi. Il diritto alla più ampia e incondizionata libertà di pensiero e di espressione e quello alla tutela della incolumità e dignità di minoranze e di specifici gruppi di individui. Questo è il caso della normativa contro l’omotransfobia, che è appunto l’oggetto della cosiddetta legge Zan.

Come ogni norma che interferisce con la libertà d’espressione, anche solo sfiorandola, questo disegno di legge, suscita qualche preoccupazione e ha incontrato, oltre che la violenta opposizione di omofobi e di “liberali per Salvini” anche quella di seri garantisti e di una parte significativa dell’intelligenza cattolica. Dico subito che, pur riconoscendo che il delicatissimo equilibrio raggiunto dall’articolato può rivelarsi scivoloso ed esposto persino a qualche abuso da parte di magistrati poco oculati, considero positivo il disegno di legge. E mi auguro che possa essere approvato.

Il motivo del mio giudizio favorevole consiste innanzitutto in questo: la legge contro la omotransfobia introduce un meccanismo di protezione speciale, che permette di sanzionare più efficacemente quelle condotte discriminatorie o aggressive dettate – oltre che da «motivi razziali, etnici, nazionali e religiosi» (come già nella legge Mancino) – dall’ostilità per ragioni di «sesso, genere, orientamento sessuale, identità di genere e disabilità». Con una cruciale differenza rispetto alla sanzione dei comportamenti correlati al primo catalogo («motivi razziali…»), il secondo catalogo («motivi di sesso…») non sanziona la mera propaganda e limita la punibilità alle sole condotte istigative: connotate dunque da una maggiore prossimità e potenzialità lesiva rispetto al bene protetto, ovvero la dignità delle vittime. Viene salvaguardata così la piena libertà di pensiero e di espressione richiamata nell’art. 4, dove si legge che «sono fatte salve la libera espressione di convincimenti od opinioni nonché le condotte legittime riconducibili al pluralismo delle idee o alla libertà delle scelte, purché non idonee a determinare il concreto pericolo del compimento di atti discriminatori o violenti».

Insomma, viene previsto come sanzionabile il nesso di causalità, la diretta relazione, il rapporto consequenziale tra parola e atto, proprio in ragione della valenza istigativa (da verificare in concreto) della prima. Dunque, la parola che si fa atto e che produce e scatena la discriminazione o la violenza. Perciò, le circostanze essenziali che tracciano il perimetro del reato si ritrovano nel significato del termine “istigazione” e in quel “concreto” che accompagna la parola “pericolo”, attribuendo a quest’ultimo un significato puntualmente definito dalla materialità delle condizioni che si verificano. È quanto affermato da una sentenza della Cassazione: «Valutare la concreta ed intrinseca capacità della condotta a determinare altri a compiere un’azione violenta con riferimento al contesto specifico e alle modalità del fatto» (n. 42727/2015).

Sono queste le ragioni che, pur consapevole dell’estrema delicatezza del tema e della precarietà, da verificare di volta in volta, dell’equilibrio nel temperamento dei due diritti in gioco (alla libertà d’espressione e alla tutela della dignità di tutti), mi inducono a valutare positivamente il disegno di legge in questione.

C’è un’altra problematica, collegata a questa, da considerare. Si dice: è un provvedimento “divisivo”, suscettibile di creare fratture all’interno della vastissima maggioranza che sostiene il governo Draghi. Mi sembra un argomento pretestuoso: il Parlamento, come è ovvio, resta sovrano e, al suo interno possono crearsi e disfarsi, sui temi più diversi, maggioranze e minoranze. Se i sostenitori del disegno di legge Zan saranno in grado di aggregare una maggioranza capace di approvarlo, davvero non si vede come un tale esito possa mettere in discussione un governo che ha da perseguire due fondamentali obiettivi: l’uscita dalla crisi epidemiologica e l’uscita dalla crisi economica.

Tanto più dopo la più recente strage in mare (oltre un centinaio di vittime tra il 21 e il 22 aprile scorso, guai a mettere a tacere, in nome della stabilità del governo, le grandi tematiche etiche e politiche che agitano i nostri giorni e le nostre coscienze. Candidi come colombe e astuti come serpenti, dobbiamo saperle affrontare.