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Fototessere 21: la preghiera e il battito del cuore

Prosegue la serie di incontri dialogati che Paolo Ricca realizza per Riforma e che ha visto finora i ritratti di Maria Paola RimoldiAnnapaola CarbonattoMatteo FerrariFulvio FerrarioGabriella CaramoreVito TamboneAndrea DemartiniMarco Cassuto MorselliShangli XuGiorgio TournFra Lorenzo Ranieri e Alba CordaroAdelina BartolomeiPierluigi Mele, le “Sorelle senza nome” , Claudio TronMargherita Ricciuti e Pietro UrciuoliAda PriscoRenato Maiocchi e Gianni Rostan; uomini e donne che hanno dei ruoli conosciuti all’interno delle chiese evangeliche in Italia o nell’ambito ecumenico, ma anche persone che, pur non avendo incarichi conosciuti ai più, portano con sé un’esperienza di fede significativa per tutti e tutte noi. Oggi è il turno di Chiara Gilotti. Buona lettura.

Chiara Ghilotti nasce a Bormio il 23 luglio 1972. Vive con i genitori a Tiolo un paesino tra i castagni dell’alta Valtellina. L’incidente che le cambia per sempre la vita avviene il 27 luglio 1995, mentre si reca al lavoro sulla sua moto. In quel periodo Chiara lavorava come assistente di persone anziane presso un pensionato. La sua rinascita, come lei stessa ama definirla, sconvolge e ridefinisce la sua vita e quella della sua famiglia. La sua maturazione interiore comprende anche la scoperta di un talento artistico fino ad allora nascosto. Dopo i primi esitanti “sgorbi” risalenti al 2005, Chiara non ha più smesso di disegnare e dipingere. Da alcuni anni fa parte della Vdmfk, un’Associazione internazionale dei pittori che dipingono con la bocca e i piedi, da cui percepisce una borsa di studio.

– La sua vita è stata spezzata in due da un terribile incidente che l’ha paralizzata dal collo in giù a poco più di 20’anni, lasciandole intatte tutte le sue facoltà intellettive ed emotive oltre a vista, udito, odorato e gusto. Come vive oggi e come è riuscita a superare lo shock terribile che lei e la sua famiglia avete vissuto?

«In questi lunghi anni la mia condizione fisica non è cambiata, ma sono cambiata io, è cambiato il mio modo di rapportarmi alle cose e alle persone. Alcune sono rimaste, altre hanno preferito un cammino diverso. Ci sono voluti alcuni anni di rabbia e disperazione, poi mi sono guardata intorno e sono uscita dal guscio. Ho visto con quanto amore la mia famiglia e gli amici si prodigavano per me. Mi sono sentita un’ingrata e ho cambiato prospettiva. Ho deciso di prendere tutto il buono possibile dalla mia situazione. Questo ha fatto la differenza per me e per la mia famiglia: la mia ritrovata serenità è coincisa con la loro».

– In questa prova tremenda, che cosa è successo alla sua fede ? È entrata in crisi? Oppure l’ha aiutata e l’ha approfondita?

«Prima dell’incidente ero atea e lo sono stata anche in seguito per alcuni anni. Poi ho accettato di partecipare a un pellegrinaggio a Medjugorie. Di quei giorni ricordo l’indifferenza iniziale, i pensieri beffardi sulle numerose confessioni… e poi mi sono ritrovata a terra, proprio come Paolo di Tarso. Il ritorno è stato indescrivibile. Non so più quante persone si sono avvicinate a me sull’autobus per parlarmi. Ero una sorta di confessore laico! In seguito, grazie a un mio amico, ministro dell’Eucaristia, mi sono avvicinata alle letture sacre e agli argomenti di spiritualità anche tramite la radio».

– Noi ci siamo conosciuti grazie alla trasmissione radiofonica «Uomini & profeti» di RadioTre, che lei ascoltava e alla quale, allora, periodicamente partecipavo. Che cosa le piaceva o la interessava di quella trasmissione?

«Mi piacevano gli argomenti e il modo di trattarli, con chiarezza e profondità. Ho seguito con grande interesse il pastore Paolo Ricca, per la sua capacità di presentare concetti difficili rendendoli accessibili anche ai non esperti. Ho molto amato il suo sapere nel presentare l’etimologia delle parole e ho scoperto che una semplice parola racchiude in sé un mondo di informazioni».

–  Recentemente, nel corso di una conversazione telefonica, lei mi ha detto testualmente: «Sono stata fortunata». Questa affermazione, ovviamente, mi ha colpito e stupito. In che senso e modo lei si considera, nella sventura, “fortunata”?

«Se penso ai poveri di Calcutta, o di qualsiasi parte del mondo… Io sono qui, al caldo, in un letto super-attrezzato, assistita con amore. Gli amici vengono a trovarmi, ho anche la compagnia di due bei nipoti che sento vicini. E poi, con il tempo, la mia casa è diventata una casa domotica. Con la voce posso compiere alcune azioni che per me sono una grande conquista. E se qualcuno mi mette sulla carrozzina elettrica che comando con il mento, posso scorrazzare all’aperto nelle belle giornate».

– Ricordo, durante la mia visita in casa sua, una scena “francescana”: un cardellino viveva con lei nella sua stanza. A un certo punto le volò vicino, si posò sul suo mento e cominciò a becchettare un po’ di cibo sulle sue labbra. Una scena bellissima, mai vista. Che fine ha fatto l’uccellino?

«Coco è volato via. Ho pensato che rimpiangesse la sua libertà e gli ho aperto la porta della gabbia e della mia stanza. È stato liberatorio anche per me, il rapporto era diventato troppo esclusivo, mangiava dalle mie labbra, modulava le mie canzoni, dormiva nell’incavo del mio collo. Capiva le mie emozioni, la tristezza come l’allegria. Mi è stato amico e terapeuta, mi ha fatto capire la profonda connessione esistente tra tutte le creature senza distinzioni. Come lui, se avessi avuto le ali, me ne sarei andata anch’io».

– Lei ha imparato a dipingere, naturalmente solo con la bocca. All’inizio dipingeva alberi spogli: solo tronco e rami in bianco e nero. Poi spuntarono le foglie e comparve il colore. Dipinge ancora? Che cosa?

«Quando ho cominciato con gli alberi volevo riprodurre la loro scarna essenza, l’anima presente dietro il fulgore delle foglie e dei fiori. Poi la mia crescita personale è diventata anche crescita artistica e mi sono innamorata del colore, dell’acquerello. Grazie al mio amico Piero, maestro d’arte sensibile e paziente, ho appreso questa tecnica che mi dà molte soddisfazioni e ha ampliato la gamma dei miei disegni. In ogni caso i miei soggetti preferiti riguardano la natura».

– Lei ha pubblicato un album che documenta l’evoluzione della sua pittura. Questa evoluzione rappresenta una sua maturazione artistica, o che cosa?

«Certamente! In quel piccolo volume ho voluto mostrare i miei faticosi inizi, l’impotenza provata per l’assenza di risultati, la lenta acquisizione di tecnica e di capacità espressiva. Solo con il tempo e la tenacia ho capito che tutto aveva un senso. Ero un bambino che esprime il suo mondo con scarabocchi rabbiosi o morbidi e che impara, crescendo, a dare forme diverse alle proprie emozioni».

– In che modo desidera rendersi utile agli altri, sulla base della sua esperienza e dei suoi talenti?

«Pensandoci un poco, posso rispondere che nell’immobilità ho scoperto di potermi muovere con la mente in assoluta libertà. Mi sono resa conto che è bello viaggiare dentro se stessi, provare a migliorarsi e cercare di condividere le proprie scoperte con le persone. Forse un talento che ho affinato è quello dell’ascolto attento e partecipe. In molti lo apprezzano e io ne sono felice».

– Qual è, secondo lei, oggi, la cosa più importante della vita umana?

«Vivere in armonia con sé stessi, amarsi, amare gli altri».

C’è una parola o un pensiero che la accompagna e sostiene nella sua quotidianità?

«Mi ha molto colpito una frase ne I racconti di un pellegrino russo: è necessario “legare la preghiera di Gesù al battito del cuore, facendola così divenire inseparabile dalla vita”».