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Medz yeghern, il genocidio degli armeni

Medz yeghern, il grande crimine. Questo è il nome con cui vengono ricordati i massacri ai danni della popolazione armena portati avanti dall’allora impero Ottomano. Questi fatti vengono ricordati il 24 aprile, perché proprio in questa data nel 1915 iniziarono gli arresti a Costantinopoli: le operazioni proseguirono poi nei mesi successivi protraendosi fino al 1916. Morì più di un milione e mezzo di persone, anche se i bilanci sono variabili a causa della mancanza di fonti certe: è comunque opinione diffusa tra gli storici che la cifra delle persone che persero la vita oscilli tra 1,2 e 2 milioni.

Le motivazioni storiche di questi avvenimenti sono da ricercare nella situazione internazionale dell’epoca. Già prima dello scoppio del primo conflitto mondiale lo Stato ottomano temeva che le minoranze armene presenti in Anatolia potessero allearsi con la Russia, di cui era nemico. Con l’inizio della guerra molti armeni disertarono dall’esercito turco, in alcuni casi unendosi a battaglioni russi. Non si trattava di un movimento estraneo al mondo esterno: la Francia ebbe un ruolo di finanziatore attivo di alcuni gruppi armeni in Turchia affinché organizzassero movimenti di rivolta per indebolire gli avversari nel conflitto mondiale.

Accanto alle spiegazioni di stampo politico, alcuni storici pongono l’accento su contrasti tra Islam e Cristianesimo, dal momento che la popolazione armena vittima delle persecuzioni si riconosceva in diverse confessioni cristiane. Tuttavia, su questo punto il dibattito resta aperto.

Le operazioni di deportazione da parte dell’impero Ottomano iniziarono nella notte tra il 23 e il 24 aprile 1915, coinvolgendo inizialmente membri delle élites armene, intellettuali, giornalisti, scrittori e parlamentari, tutti sospettati di sobillare la rivoluzione e di tradire lo Stato. Le deportazioni iniziarono man mano a coinvolgere fasce più ampie della popolazione, che venivano costrette a muoversi a piedi verso la loro destinazione finale, le regioni dell’Anatolia centrale. Nelle cosiddette “marce della morte” persero la vita molte migliaia di persone per fame, malattia o sfinimento, mentre altre vennero uccise dall’esercito ottomano.

La definizione di questi fatti come genocidio è molto controversa. Nel mondo solo 30 Paesi lo riconoscono come tale, e tra questi troviamo l’Italia: in alcuni dei rimanenti Stati la definizione è riconosciuta solo da alcuni enti o organizzazioni. La Turchia non ha mai accettato di identificare lo sterminio come un genocidio, adducendo alle ragioni storiche che condussero agli avvenimenti. Secondo la Turchia, quindi, si sarebbe trattato di una risposta ottomana all’insurrezione da parte degli armeni e al bisogno di proteggere i confini durante il conflitto mondiale, non di un’azione programmata e metodica. Alcuni giornalisti o storici turchi che hanno tentato di ricostruire i fatti da un punto di vista oggettivo sono stati arrestati o si sono visti costretti a lasciare il Paese, com’è accaduto a Taner Akçam, che recentemente ha pubblicato uno studio sui documenti che provano le responsabilità dello Stato ottomano.

Esistono poi altre situazioni ancora più sfumate, come quella di Israele, che non applica il termine “genocidio” per timore di incorrere in un crisi diplomatica con la Turchia. La stessa politica viene adottata dagli Stati Uniti, anche se alcune recenti dichiarazioni da parte dell’amministrazione americana potrebbero andare in una diversa direzione. Nel suo discorso di sabato 24 aprile 2021, il Presidente Joe Biden dovrebbe riconoscere formalmente il massacro degli armeni come un atto di genocidio “semplicemente” pronunciando la parola. Un atto rischioso, nel momento in cui i rapporti statunitensi con la Turchia sono ai minimi termini. Già nel 2019 la Camera dei Rappresentanti e il Senato avevano approvato delle misure per rendere formale il riconoscimento, ma nessun Presidente ha mai fatto riferimenti espliciti.

La questione è ora puramente politica, le valutazioni sulle ripercussioni sui rapporti diplomatici, militari e commerciali sembrano avere un peso diverso rispetto al riconoscimento dei diritti umani.

 

Foto di Armen Gurekian, memoriale genocidio armeno a Yerevan